AFRICA/ Perché il Papa non sbaglia

I dati confermano che la “cultura del preservativo” non è stata sufficiente da sola a limitare la diffusione dell’Aids: dal 2001 al 2007 si è passati da 29,5 a 33 milioni di malati

Un viaggio lungo e difficile per portare nel cuore dell’Africa, piegata da povertà, conflitti e malattie, una nuova speranza. Durante la sua undicesima visita pastorale, Papa Benedetto XVI ha fatto ascoltare all’intera comunità internazionale un ragionamento illuminato sull’attuale situazione africana. Un discorso che non ha lasciato in ombra gli aspetti legati alle contraddizioni che ancora affliggono il grande continente, in affanno per le difficoltà sociali, politiche ed economiche, ma soprattutto antropologiche.

 

Con uno sguardo di vicinanza e di amore nei confronti di chi soffre, con la sua mano tesa verso i poveri e i malati, con un messaggio universale capace di generare un approccio integrale ai problemi del continente africano, il Papa ha gettato le basi perché sia costruito un ponte di riconciliazione tra nord e sud del mondo.

Ha ribadito che le ingiustizie sono inaccettabili, che si dovrà lavorare per uno sviluppo etico delle risorse, facendosi, quindi, portavoce dei poveri che «chiedono una conversione profondamente convinta e durevole dei cuori alla fraternità». Un messaggio di questo tipo poteva essere portato solo da chi per vocazione e per volontà non sta a guardare i problemi, ma è accanto alla popolazione africana, grazie alla dedizione senza riserve di quanti donano la propria vita per il riscatto dei più deboli.

Di fatto pur avendo il Papa toccato nel corso del suo viaggio i temi e le sfide più urgenti per questo continente, i media internazionali hanno insistito quasi unicamente sulla questione del preservativo, banalizzando la stessa piaga dell’Aids, una malattia che in Africa ha ben altre ripercussioni: sanitarie, sociali, economiche, culturali e spirituali.

I dati confermano che la “cultura del preservativo” non è stata sufficiente da sola a limitare la diffusione dell’Aids: dal 2001 al 2007 si è passati da 29,5 a 33 milioni di malati. I numeri sono significativi in quanto rivelano una mancanza ben più profonda e che può essere colmata solo se si trasmette la cultura del rispetto, dell’amore e della stabilità dei rapporti.

Tuttavia, sebbene sia stata sviata l’attenzione dai problemi reali del continente africano questo viaggio non è stata un’occasione persa. In molti ricorderanno la storia di Rose Busingye che ci ha incantato, durante lo scorso Meeting per l’amicizia e la pace tra i popoli, con il suo racconto fatto di parole piene di tenacia.

Questa donna, che da molti anni in Africa cura 4 mila malati e orfani affetti dal virus dell’Hiv, ci ricorda che la soluzione per porre un argine alla diffusione dell’Aids non è rappresentata dalla distribuzione del preservativo: «Parlare di questo – dice – significa fermarsi alle conseguenze e non andare mai all’origine del problema». La grande emergenza è costituita dalla mancanza di mezzi che consentano a donne coraggiose come Rose di prendersi cura di coloro che hanno già contratto la malattia.

Quello che in molti faticano a capire è che il danno maggiore provocato dalla distribuzione dei profilattici in Africa come mezzo per contrastare l’Hiv è di tipo culturale e il Papa è andato davvero al cuore del problema, valorizzando il ruolo della famiglia, la condizione della donna e ricordando ai giovani l’importanza del celibato e della castità.

La verità è che in termini di implicazioni economiche e politiche è più difficile mettere in crisi le multinazionali del farmaco, pretendere cure gratuite e fare campagne più mirate su educazione e prevenzione, anche se un atteggiamento di questo tipo costituirebbe un valore aggiunto e un’alternativa a una mera profilassi preventiva che non avendo prodotto a oggi risultati soddisfacenti rivela quanto questa debba essere supportata da una base più radicata: educare la persona al rispetto di se stessa e degli altri.

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