Ogni volta che si avvicina una scadenza elettorale è giusto domandarsi perché. Cosa cerchiamo, cosa speriamo, a cosa miriamo con un voto, con quel voto. Prima del 6 e 7 giugno ci porremo la domanda in alcune centinaia di milioni di europei, visto che da quella data uscirà la nuova composizione del Parlamento di Bruxelles. E dunque, perché? Influire sulle prossime normative sull’agricoltura? Spingere nella direzione di una politica estera comune? Dare un esempio alle nuove generazioni continentali di quel che le vecchie hanno saputo costruire? Messa così, la faccenda sembra destinata ad un vicolo cieco. Sinceramente: può un europeo razionale pensare che il suo voto possa concretamente determinare qualcosa dell’agricoltura o della politica estera? E d’altra parte in molti nutrirebbero dubbi anche sull’esemplarità della laboriosissima costruzione comunitaria. L’Europa del dopoguerra è sempre stata un misto di grandiose speranze, parziali realizzazioni e consistenti disillusioni, ma da un periodo ormai troppo lungo il terzo ingrediente del cocktail ne ha pesantemente alterato il sapore. L’oltraggioso rifiuto opposto alla citazione delle radici cristiane da parte di una incredibile Convenzione (nel senso proprio di non credibile, come si è visto successivamente con i referendum bocciati). Lo svuotamento dei valori e dei diritti sostanziali. L’assalto vincente delle lobbies dei “nuovi costumi”. La crescita della tecno- e della buro-crazia. Il malriuscito allargamento a Est. Davvero non sarebbe difficile andare avanti per qualche decina di righe ad elencare questioni irrisolte o risolte tremendamente male. E il voto di giugno, è bene saperlo, non cambierà le tendenze dell’Europa del XXI secolo. Di nuovo, dunque, dobbiamo chiederci perché: a cosa servirà il mio voto? Ma se questa è la domanda, le risposte sono obbligate, e sono quelle date, destinate soltanto ad accrescere il fossato tra le aspettative e la politica reale, nel migliore dei casi rinviando l’appuntamento ad un’altra scadenza, o ad un altro partito, o ad un’altra strategia.



Occorre invece un’altra domanda: quale sfida lanciano le elezioni europee, quale occasione offrono alla vita di ciascuno di noi abitanti del Vecchio Continente, quale protagonismo è possibile in un evento di simili proporzioni? Percorrendo le strade delle nostre città e delle nostre campagne la risposta si fa semplice. La libertà, la famiglia, il lavoro, l’impresa, l’educazione, la carità, l’accoglienza, la giustizia. Ogni giorno camminiamo con questo bagaglio appresso o, per meglio dire, dentro. Non solo le elezioni, ma in particolare le elezioni e quelle europee ancor più (anche per i fattori che la valentissima costituzionalista Marta Cartabia non si stanca di mai di spiegare), chiamano a “dire” della libertà, della famiglia, del lavoro e così via. Con i vicini, nei circoli culturali, nelle tavolate con gli amici, nelle aule universitarie, nelle pause caffè degli uffici. Una esperienza che si aggiri per l’Europa, ecco la formidabile provocazione che il primo week end di giugno mette nella nostra giornata (l’ho imparato in questi anni seguendo il lavoro dell’eurodeputato Mario Mauro, che spero di rivedere a Bruxelles all’indomani delle elezioni: prendetelo come un invito a votarlo, lettori del collegio Nordovest, non solo voi ma tutti gli europei che hanno a cuore l’Europa hanno bisogno di lui).



Una domanda diversa, risposte vere: l’occasione fa l’uomo protagonista.

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