Ci sono percorsi di vita che, pur nella semplicità delle azioni e degli avvenimenti, offrono a tutti un esempio e trasmettono appieno il coraggio di una scelta. Ci sono cammini che, aprendosi con generosità alla vita e alla santità, le rendono un po’ meno distanti. Gianna Beretta Molla è stata tutto questo. È la santa del quotidiano. È la donna, la moglie, la madre, il medico che ha saputo compiere, nel corso della sua breve quanto significativa esistenza, gesti di straordinaria semplicità.
Il 28 aprile del 1962 Gianna ci lasciava e, proprio in questi giorni, in cui sono iniziate le celebrazioni per ricordare il cammino da lei compiuto a cinque anni dalla sua santificazione fortemente voluta da papa Giovanni Paolo II, il quale già intravedeva nel suo operato una possibile luce di speranza per la nostra epoca, il ricordo del suo percorso ci sorprende per il suo significato così attuale.
Nata a Magenta (Milano) il 4 ottobre 1922, decima di tredici figli, Gianna ha coltivato il dono della fede che l’ha portata a considerare la vita come un dono meraviglioso. Dopo la laurea in Medicina e la specializzazione in Pediatria, Gianna aprì giovanissima un ambulatorio medico in cui assisteva i suoi pazienti che in gran parte erano costituiti da poveri, mamme, bambini e anziani.
Mentre compiva la sua opera di madre e di professionista, sentiva crescere dentro di lei il senso della sua missione, interrogandosi sulle sue scelte di vita che considerava anch’esse un dono prezioso, perché diceva «nel seguire bene la nostra vocazione dipende la nostra felicità terrena ed eterna».
La sua vocazione era la famiglia. Fu da questo amore che verso il termine del secondo mese di una nuova gravidanza, Gianna raggiunta nella sofferenza e dal mistero del dolore, decise con estremo coraggio di salvare la vita che portava in grembo, donando la propria in cambio di quella di Emanuela. Per Gianna la creatura che portava dentro di lei aveva gli stessi diritti e lo stesso valore di quella di qualsiasi altra persona, anche della sua stessa esistenza. La scelta di Gianna fu dettata in primo luogo dalla sua coscienza di madre e di medico.
Morì a soli 39 anni, riconfermando con quella scelta l’irriducibilità della vita umana proprio in questo tempo in cui questa viene troppe volte messa in discussione, violata, vilipesa. Le sentenze contro i malati, le ricerche sugli embrioni, sono chiari allarmi di come si stia perdendo il senso di sacralità della vita umana e non si riesca più a comprendere il suo valore.
Santa Gianna risveglia dentro di noi un senso del tutto nuovo e differente. Ci aiuta a riaffermare di fronte alla società che la vita umana è un bene indisponibile, un valore non negoziabile, un tesoro che ci è stato affidato e che dobbiamo custodire e difendere.
Gianna lo dimostrava con l’esempio e con quelle parole tenaci che era solita ripetere e che ritroviamo nei suoi scritti, quando si riferiva al settore in cui esercitava la sua professionalità: «Tutti nel mondo lavoriamo in qualche modo a servizio degli uomini. Noi (medici) direttamente lavoriamo sull’uomo. Il nostro oggetto di scienza e lavoro è l’uomo che dinnanzi a noi ci dice di se stesso, e ci dice “aiutami” e aspetta da noi la pienezza della sua esistenza». A quasi cinquant’anni dalla sua morte, Gianna, soprannominata da tutti il sorriso di Dio, è un esempio per tutti coloro che sentono nel cuore l’urgenza di battersi per il bene comune e per la difesa della vita, soprattutto di quella dei più deboli senza farne un’ideologia.
Papa Benedetto XVI ha proclamato ieri in San Pietro cinque nuovi santi, cinque nuove guide che tracciano le orme su un cammino che oggi più di ieri si fa ancora più impervio: «In una società smarrita e spesso ferita, come è la nostra, ad una gioventù, come quella dei nostri tempi, in cerca di valori e di un senso da dare al proprio esistere – ha affermato il Santo Padre – occorrono saldi punti di riferimento». Santa Gianna è stata capace di testimoniare con la vita e con le opere, di fronte a una società assetata d’infinito, la presenza al suo fianco di uno speciale compagno di viaggio, nel momento del dolore scegliendo la via del sacrificio, del chicco che muore per portare frutto.