Come ho scritto la scorsa settimana, per un po’ di tempo, ovviamente se non succede qualcosa d’altro che motivi un commento o un giudizio, mi dedico a descrivere alcune linee guida dell’impresa volendo avere come interlocutori privilegiati gli imprenditori e coloro che lavorano in imprese di piccola e media dimensione, pur nella consapevolezza che si tratta di aspetti validi e possibili in ogni tipo di azienda.
Una premessa. Come sempre in questi casi l’obiezione è immediata: “nel mio caso non vivo l’esperienza così come viene descritta, anzi …”. Proporrò delle idee che potranno risultare per alcuni, o per molti, lontane dalla loro esperienza quotidiana, ma assicuro di scrivere cose viste e udite nelle centinaia di aziende che ho avuto modo di conoscere e dunque possibili, in un lavoro, per tutte le altre. Questo anzi è il mio obiettivo: trasmettere ad altri ciò che da qualcuno ho imparato.
Procedo con il primo spunto. Da un po’ di tempo ogni volta che ascolto un’orchestra, un coro, una banda mi trovo a pensare che è una delle rare occasioni in cui nella società di oggi si può fare esperienza di unità. I protagonisti sono disposti a rinunciare a qualcosa o a molto del proprio istinto per concorrere, insieme agli altri, alla realizzazione di un’attività più grande. A ben pensare non è quasi mai più così neanche in chiesa dove ognuno, nel partecipare, va per la sua strada. Nulla di romantico, è che in quei momenti tocco con mano che l’esaltazione del sé, dimentica degli altri, rende meno di un’unità operosa, ed è anche meno bella.
In tante piccole imprese mi è capitato di fare, in positivo, un’esperienza analoga, anche se evidentemente di minor impatto emotivo per via del normale logoramento da quotidianità: la vicinanza dell’imprenditore/datore di lavoro, la chiarezza e la concretezza di un obiettivo comune continuamente riproposto, un lavoro di cui è facile percepire il risultato finale a cui si sta contribuendo riducono drasticamente la possibilità di vivere l’impresa come un ambito di conflitto tra opposti interessi e rilanciano l’opportunità di interpretarlo come luogo in cui, in funzione della propria storia, imparare o trasmettere un mestiere, esercitare una responsabilità di indirizzo o rischiare tempo, energie e soldi per realizzare un’idea.
Allora il lavoro non è alienante, ma suscita almeno un minimo di passione, l’integrazione tra storie diverse, anche molto diverse, è più facile, ci si aiuta a risolvere i propri problemi senza necessariamente ricorrere al sindacato, si è disposti a farsi carico, senza esagerare ovviamente, dei problemi dell’azienda, si matura in accordo con l’imprenditore una creatività a servizio anche del territorio. Insomma, l’azienda diventa un luogo di vita. Quante imprese oggi nel nostro Paese suppliscono, e forse anche questa è sussidiarietà, alle carenze, pure educative, della società diventando oggettivamente luogo di incontro tra persone e destini.
Voglio ribadirlo: nulla di sentimentale, tanto che il limite umano è lì ogni minuto a insidiare la portata dell’evento, ma una possibilità concreta di sentirsi insieme per un tratto di strada e partecipi di un disegno.