Le riforme di Benedetto

Il viaggio di Benedetto XVI è stato un invito pressante ai cristiani perché restino in Terra Santa, un incoraggiamento affinché quel due per cento di discepoli di Cristo non diminuisca

Il viaggio-pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa si è sviluppato lungo tre momenti: la Giordania, Israele, e i territori palestinesi.

Innanzitutto la Giordania. Il papa ha sentito la necessità, dopo quattro anni dall’inizio del suo pontificato, di affermare la linea che lo muove nel confronto del dialogo inter-religioso. Nella prefazione al libro del senatore Pera, aveva scritto che il dialogo fra le religioni va vissuto anzitutto come dialogo della ragione, come alleanza per la difesa dell’umano. Da questo punto di vista, papa Benedetto continua un aspetto del dialogo inter-religioso di Giovanni Paolo II. Mette in secondo piano il pregare insieme, il dibattito teologico, senza ovviamente trascurarlo, e mette in primo piano l’alleanza per la civiltà, tema caro ad Obama e a Zapatero ma riletta dal papa in modo assolutamente originale. Non come messa tra parentesi dalla fede, ma come scoperta della fecondità che il rapporto fede-ragione dà nella lotta contro il nichilismo e l’espressione tragica delle guerre di religione.

Ecco allora la necessità di sostenere l’Islam moderato. Il papa non entra nel dibattito se esista o meno una radice di tale posizione moderata nel Corano. Probabilmente no. A lui interessa rilevare, come faceva Giovanni Paolo II, che l’Islam moderato esiste nello scenario religioso e culturale di oggi. Con lui bisogna lavorare, perché oltre alla pace si possono trovare utili alleanze sul tema della vita e del futuro dell’umanità. Senza dirlo, senza metterlo esplicitamente a tema, Benedetto XVI lavora per una evoluzione interna dell’Islam, per un suo illuminismo che lo possa salvare da una chiusura nella violenza e nell’anti-storia.

I rapporti tra Santa Sede ed ebrei sono forse destinati a restare problematici fino alla fine dei tempi. Non manca, tra i secondi, chi nota quali grandi passi siano stati compiuti nella seconda metà del secolo passato, con l’accoglienza nelle comunità religiose di tanti ebrei perseguitati, con la pubblicazione di Nostra Aetate durante il Vaticano II, con le iniziative di Giovanni Paolo II. Per altri, tutto ciò sembra non bastare. E occorre sempre tutto precisare e riaffermare. D’altra parte la storia passata è così drammatica! Le immense ferite così difficili da rimarginare!

Benedetto XVI ha dedicato molta parte della sua vita di studioso e insegnante di teologia a riaffermare la “necessità” degli ebrei all’identità cristiana. Ma chi ha letto i suoi libri? Chi conosce i suoi discorsi? Tutto infine sembra consegnato ai titoli dei giornali.

Eppure la tela della compassione e, perché no?, dell’amore reciproco va tessuta ogni giorno. Instancabilmente. Il “mistero” di Israele, di un popolo a cui Dio si è così strettamente legato – anche quando esso era tentato di scrollarsi di dosso quel giogo e solo un piccolo resto restava fedele – il mistero di Israele rimane uno dei più grandi eventi della storia, che tutti ci interroga e scuote.

Come è stato notato da molti, parecchi commentatori ebrei aspettavano il papa al varco. Ogni papa ha la sua penitenza da fare. Benedetto XVI dev’essere per forza legato a delle gaffe, anche se questa volta i testi erano controllati al millesimo. Ma chi sa leggere veramente, in profondità, ha capito. Anche il doloroso coraggio di un papa che proviene dal popolo tedesco e che non ha esitato a parlare dei delitti dei suoi connazionali contro il popolo ebraico.

Per quanto riguarda i territori palestinesi, la posizione della Santa Sede è ben nota. Assieme al diritto alla sicurezza per Israele, il diritto alla patria per i palestinesi. Benedetto XVI ha coniugato più volte queste esigenze, che non sono per lui solo di ordine politico, ma che attengono ai diritti più profondi degli uomini e dei popoli.

Infine, il suo viaggio è stato un invito pressante ai cristiani perché restino in Terra Santa, un incoraggiamento affinché quel due per cento di discepoli di Cristo non diminuisca. È un’esperienza assolutamente particolare vivere in Terra Santa. Tutte le chiese sarebbero terribilmente impoverite se i discepoli di Gesù non fossero più lì a ricordarci che Egli è vissuto davvero sulla terra, che ha camminato su quelle pietre, che ha visto il verde della Galilea e i deserti della Giudea.

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