Benedetto parla di Benedetto. Quattro anni dopo il celebre “discorso di Subiaco”, quando l’allora Cardinale Ratzinger aveva presentato la sua lectio magistralis sull’Europa, il Santo Padre è tornato ieri a parlare di San Benedetto da Norcia, figura esemplare e Santo patrono dell’Europa. Nel monastero di Montecassino il Papa ha trovato i simboli dell’altro “Benedetto”, padre del monachesimo e propugnatore dell’evangelizzazione nel nostro continente, che oggi può idealmente rappresentare il baluardo a cui è ancorata la nostra tradizione millenaria.
“Ora et labora” dicevano – e dicono tuttora – i benedettini. Su questo concetto il Papa ha intessuto un messaggio che ha toccato i temi più attuali. Nessun salto nel passato, ma una lucida riflessione su quanto sta accadendo oggi. Ha espresso la sua solidarietà verso coloro che più di tutti stanno pagando il dazio imposto dalla crisi: i precari, i disoccupati e i giovani senza lavoro. Ha esortato a creare «nuovi posti di lavoro a salvaguardia delle famiglie, fortemente insidiate nelle radici stesse della loro istituzione».
L’Europa può trovare strategie per risolvere l’emergenza occupazione soltanto se sarà capace di riconoscere le proprie radici, perché per creare nuove possibilità occupazionali e superare l’attuale contesto di crisi occorre soprattutto lottare contro forme di egoismo e cercare di tutelare in primo luogo i giovani e le famiglie.
San Benedetto con una “regola” fatta di lavoro, cultura e preghiera contribuì a tirar fuori l’Europa da un periodo di profonda crisi. Il Papa ha riportato sotto i nostri occhi un valido esempio per rispolverare una strategia semplice ma efficace: guardare alle nostre radici mettendo tutti insieme il peso di cui siamo capaci sulla stessa mattonella perché nessuno rimanga indietro.
La dignità umana, infatti, viene prima di tutto. È per quella dignità che proprio nel nostro continente è stata calpestata milioni di volte dalle atrocità delle ideologie che le istituzioni sono pronte a battersi, facendosi garanti e mai padrone. È per questo motivo, nella memoria delle vite che la guerra ha spezzato, che il Santo Padre ha visitato ai cimiteri di guerra, ricordando così i caduti di tutte le nazioni e di tutti conflitti.
Tutto ciò ha forse a che fare con l’Europa, con le sue istituzioni e con i suoi cittadini? La fedeltà e il riconoscimento delle radici cristiane non potrebbero contribuire nella costruzione di un’Europa unita e solidale, fondata sulla ricerca della giustizia e della pace? Forse, per noi abituati a vivere in un clima privo di conflitti civili o di popoli, la parola pace ha acquisito un significato che diamo ormai per assodato.
Ma c’è un rischio. Se l’Europa non sarà capace di una memoria storica che le permetta di mantenere viva la sua tradizione culturale e religiosa, non potrà nemmeno pretendere di avere un futuro. La miopia non ha mai portato molto lontano. L’Europa è stata veramente se stessa e profondamente grande nel creare forme di autentica civiltà e progresso dei popoli a livello universale, solo nel momento in cui ha trasmesso quei valori costitutivi che le provenivano dalla fede cristiana, dopo averli fatti diventare patrimonio di cultura e identità di popoli.
Purtroppo la storia recente ci ricorda che non sempre le istituzioni sono state capaci di riconoscere il loro percorso pregresso. Ed è una stranezza il fatto che l’Europa rifiuti il riferimento alle sue radici, mentre gli Stati Uniti ad esempio, non hanno mai avuto il problema di riferirsi a Dio.
L’Europa è nata cristiana e solo nella misura in cui rimarrà tale potrà pensare di conservare appieno le proprie idealità e il proprio apporto originale alla costruzione della civiltà contemporanea. Per comprenderlo a fondo è necessario ritornare al IV secolo quando, durante la grave crisi dell’Impero romano, iniziò a svilupparsi la Chiesa, come nuovo soggetto storico, culturale e politico.
Il monastero di Montecassino quattro volte distrutto e quattro volte ricostruito è il simbolo di questa Europa che, pur essendo stata minata più volte alle sue fondamenta, è ancora oggi in piedi. Ha sopportato guerre, ha visto la distruzione, è più volte stata messa in ginocchio, ma oggi è salda ed è stata capace di assicurare a noi e ai nostri figli oltre sessant’anni di pace. È per questo che vogliamo difenderla, anche nel ricordo di San Benedetto.
La visita di Benedetto XVI alla vigilia di un importante appuntamento che coinvolge i cittadini dei Ventisette Stati Membri ci sprona a proseguire sulla strada tracciata dai padri del nostro continente e a batterci affinché, soprattutto ai giovani, sia garantito un avvenire di pace e sviluppo.