Le riforme costituzionali sono una cosa seria, implicano anche la riduzione del numero dei parlamentari, ma non si esauriscono certo in quello. La sfida per l’Italia è molto più complessa: il nostro assetto organizzativo deve essere adeguato a tempi ed esigenze che sono profondamente diversi da quelli del 1948. Già allora si era avvertito come la forma di governo parlamentare esponesse a rischi di malfunzionamento: l’ordine del giorno Perassi sulle degenerazioni del parlamentarismo sta a dimostrarlo.

Quell’ordine del giorno non venne però attuato perché i partiti della Costituente ritennero di dover essere loro stessi a legittimare le istituzioni nella nuova storia repubblicana: erano i partiti della Resistenza e in forza di questa legittimazione ritennero quell’ordine del giorno per un verso inutile, per un altro pericolosamente limitativo della loro futura libertà d’azione. Il risultato fu una formula democratica costruita su governi deboli, colonizzazione della società civile e blocco del pluralismo istituzionale (l’istituzione delle Regioni rimase congelata per vent’anni).

Quella formula oggi non è più adeguata ai tempi. Come ha lucidamente evidenziato Tremonti, oggi i popoli domandano riforme, ma spesso i Governi non hanno potere per poterle offrire: la questione del potere e della democrazia nel tempo presente si pone in termini diversi dal passato; il problema non è più quello di conservare la democrazia controllando il potere del governo, ma all’opposto quello di consolidarlo, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra intensità delle domande e capacità di soddisfarle.

Se governi deboli, colonizzazione della società civile e blocco del pluralismo istituzionale furono le due coordinate della formula democratica del dopoguerra, oggi occorre un modello di democrazia basato su coordinate diverse: da un lato alla debolezza del Governo è opportuno che succeda un reale potere di soddisfare le domande in campo (basti pensare all’esigenza di fronteggiare fenomeni globali come quello della crisi finanziaria), e dall’altro alla colonizzazione della società civile e al centralismo è utile che si sostituisca la sussidiarietà, sia orizzontale che verticale.

La sussidiarietà diventa allora la formula per democratizzare una democrazia che deve essere capace di decidere, una democrazia governante, non annacquando il potere dei governi, ma aumentando il peso specifico della società civile. Il pendolo della storia va nella direzione opposta del passato, dove i partiti colonizzavano la società civile e non riuscivano a governare degenerando nel parlamentarismo; oggi occorre una capacità di governo e una valorizzazione della società civile e del principio autonomista.

Occorre cioè una formula istituzionale che sia in grado di restituire alla politica il primato sulle diverse istituzioni parallele che si muovono fuori del sistema costituzionale formale e sui poteri forti del mondo economico globalizzato, e che nello stesso tempo restituisca alla società civile e al pluralismo istituzionale quell’autonomia che per lungo tempo è rimasta soffocata dentro uno statalismo solo ideologico. L’Italia di oggi, da più punti di vista, si sta avvicinando a questa seconda formula: manca però una riforma costituzionale che razionalizzi la forma di governo.

Da questo punto di vista la bozza Violante, sulla quale è già maturato un certo consenso bipartisan, presenta una prospettiva adeguata perché interviene sulle principali pagine lasciate aperte dal Costituente stesso, da un lato superando il bicameralismo paritario e dall’altro rafforzando il ruolo del Governo.

Il bicameralismo paritario italiano costituisce oggi una vera e propria rarità costituzionale ed è evidentemente fonte di lentezza e di scarsa efficienza dell’azione di governo, senz’altro anche per l’eccessivo numero di parlamentari (circa mille) che devono votare un testo esattamente uguale con il rischio di estenuanti navette tra una Camera e l’altra.

Una volta ridotto il numero dei parlamentari, introdotto un senato federale e rafforzato il potere del Governo sono stati toccati nodi critici del sistema attuale e si è rispettato il nucleo essenziale di quel patrimonio storico su cui, fin dall’origine, si è innestata la radice sana del nostro modello costituzionale. Se a questo si accompagna la continuazione del trend diretto a valorizzare la sussidiarietà sia orizzontale che verticale, il passo in avanti per la democrazia è notevole.