Un aureo libricino dell’antica tradizione cristiana – risale al primo secolo – si intitola Didaché. L’ignoto autore vi espone la «dottrina dei dodici apostoli» e gli insegnamenti necessari per intraprendere e percorrere la «via della vita». Uno di questi insegnamenti mi è stato tante volte proposto, tanto da diventarmi familiare; suona così: «Cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi». A proposito di santi, la casa editrice Jaca Book ha recentemente messo in distribuzione un volume di John Henry Newman (1801-1890), in cui sono raccolti quattro historical sketches del grande teologo anglicano, convertitosi al cattolicesimo e divenuto infine cardinale. I saggi riguardano san Giovanni Crisostomo, Teodoreto di Ciro (che non è santo, anzi ha avuto qualche problema di ortodossia), san Benedetto e le Scuole benedettine.
Newman non nasconde, anzi esplicita chiaramente e cerca di giustificare razionalmente, la sua preferenza e grande sintonia con il primo. Non ci fornisce una biografia esauriente del Crisostomo, nato ad Antiochia intorno al 350, elevato alla sede patriarcale di Costatinopoli nel 398, dove la sua focosa parola ha entusiasmato il popolo, ma irritato i potenti, che finirono per esiliarlo e di fatto procurarne la morte, avvenuta nel 407 in uno sperduto paesino sulle rive del mar Nero. Proprio al periodo dell’esilio Newman dedica la sua maggiore attenzione, nel tentativo di immedesimarsi con l’intimità del grande vescovo.
Ed è proprio quando descrive le caratteristiche profonde di Giovanni Crisostomo che Newman trova delle espressioni mirabili. E straordinariamente pertinenti per l’oggi. Scrive ad esempio: «Penso che il fascino di san Giovanni si trovi nella sua profonda solidarietà e comprensione per il mondo intero; non solo nella sua forza, ma nella sua debolezza; nella viva considerazione con cui osserva ogni cosa che gli accade di fronte e la coglie nel concreto». Viene in mente la lezione di Benedetto XVI, grande estimatore di Newman, quando chiede il realismo di una ragione aperta a tutta le realtà e non chiusa nei proprio schemi già saputi.
L’originalità del Crisostomo, scrive ancora Newman «è l’interesse che trova in tutte le cose, non perché fatte da Dio tutte uguali, ma perché Egli le ha create differenti le une dalle altre. Parlo di quell’amore discriminatorio con cui egli accoglie ognuno per ciò che in lui vi è di originale e di diverso da tutti gli altri. Parlo della sua versatilità nel riconoscere gli uomini, uno per uno, in ragione di quella porzione di bene, sia essa grande o piccola, o di maggiore o minor grado, che è stata posta in ognuno di loro». Ci vuole parecchio coraggio a parlare di «amore discriminatorio» in un contesto come quello di allora – e ora diventato legge indiscutibile -, per cui l’uguaglianza (dei diritti, dei doveri, della natura) tende a schiacciare la ricchezza della diversità e, alla fine, contraddirsi in quanto nega la specifica singolarità di ciascuno. Newman ha invece il coraggio di parlare di quella «preferenza» che è perennemente la porta d’ingresso di una amicizia che tende a diventare universale, ma non è mai appiattita.
In un altro brano Newman esprime magistralmente una delle caratteristiche del santo: come egli apprezza la diversità degli altri, così ama tutto il proprio umano: «Per quanto posseduto dal fuoco della divina carità, Giovanni non ha perso una fibra, non manca di alcuna vibrazione del complicato organismo del sentimento e dell’affetto umano; come il miracoloso roveto del deserto che, nonostante la fiamma lo avvolgesse totalmente, non si consumava».
Come mai il santo ha uno sguardo così comprensivo? Perché imita quello «con cui nell’eternità l’amorevole Padre di tutti sorvegliava, anche nei suoi minimi dettagli, quell’universo che aveva deciso di creare»; perché imita «la provvidente sollecitudine con cui Dio ora conserva presso di sé il catalogo degli innumerevoli uccelli del cielo e conta giorno per giorno ogni capello del nostro capo e l’alternarsi del nostro respiro».