Quando di un fatto si vuole dire che è veramente importante, lo si definisce «storico». L’abuso di questo aggettivo è, ovviamente, sempre in agguato: forse perché abbiamo perso la dimensione profonda del divenire storico, non ci scandalizza sentir fregiare con quell’aggettivo anche il risultato di una partita di calcio o la vittoria di un certo concorrente al Grande Fratello.

Alessandro Manzoni ha sempre vissuto drammaticamente il tema della storia. Soprattutto perché sentiva il lancinante bisogno di comprendere come mai la storia, che pure già partecipa della redenzione cristiana cui lui stesso aveva aderito dopo una giovinezza atea, sia ancora piena di male e appaia spesso in contraddizione con la certezza nella provvidenza.

Nel luglio del 1821 Manzoni lesse la notizia della morte, nell’isola di Sant’Elena, di Napoleone. Scosso dall’avvenimento – veramente «storico» – scrisse in pochi giorni la sua ode forse più famosa: Il Cinque Maggio, ben presto diventata celebre in tutta Europa, anche per una traduzione fatta da Goethe. Mi è tornata in mente, ovviamente, per la concomitanza della data. E penso che la sua lezione sia un buon antidoto alla superficialità e insignificanza con le quali è spesso trattata la storia, oggi.

Con giustificato orgoglio, Manzoni dice anzitutto che di Napoleone lui non aveva parlato quando l’imperatore dei francesi era in auge; «vergin di servo encomio / e di codardo oltraggio» l’autore dei Promessi sposi non si era unito al coro dei leccapiedi e neppure alla turba dei denigratori che riaffiorava ogni volta che Napoleone era in disgrazia. Come mai, allora, proprio adesso che «l’uom fatale» è morto, Manzoni si decide a scrivere di lui? Perché aveva letto che l’esule di Sant’Elena, prima di morire aveva chiesto i sacramenti.

Improvvisamente la vita del grande condottiero che aveva sottomesso l’Europa – rievocata nella prima parte dell’Ode con strofe concitate e mirabili – appare al Manzoni in una luce del tutto nuova. Cos’era stato, nella vita di Napoleone, veramente «storico»? Sì, forse anche le vittorie in battaglia, le conquiste e gli atti di governo; ma, su questo, «ai posteri / l’ardua sentenza».

Veramente storica è stata la ricerca di quello che sta al di là e sotto del tumultuoso scorrere degli avvenimenti. Rileggiamo la strofa in cui Manzoni immagina l’ex imperatore che ripensa al suo passato, solo e impotente nell’isola sperduta in mezzo all’oceano. I ricordi – e sono ricordi di avvenimenti e date che tutti i libri di storia riporteranno – sono paragonati alle onde che si accavallano sul capo di un naufrago; che però, al di là di esse cerca rive lontane e sicure («prode remote»), rive che però non coincidono con tutto quello che Napoleone aveva fatto nella vita; «invan» egli cerca nel ricordo delle sue prodezze il porto sicuro:

«Come sul capo al naufrago

L’onda s’avvolve e pesa,

L’onda su cui del misero,

Alta pur dianzi e tesa,

Scorrea la vista a scernere

Prode remote invan;

Tal su quell’alma il cumulo

Delle memorie scese».

Per questo desiderio insoddisfatto Napoleone, continua Manzoni, non riuscì mai a scrivere le sue memorie e fu preso da un profondo «strazio», che ha sfiorato la disperazione. «Ma venne una man dal cielo, / e in più spirabil aere / pietosa il trasportò». Questo sì che è veramente «storico».