Mentre in Italia si attendono i risultati di un referendum e di un ballottaggio caratterizzati da una tra le più basse percentuali di affluenza alle urne, in Iran si combatte ormai da più di una settimana una battaglia disperata contro il regime del terrore. La crisi iraniana appare attualmente una delle situazioni più complesse e preoccupanti per la comunità internazionale nello scenario globale.
Sebbene sia ancora lontana dall’essere stabilita l’entità dei brogli che hanno caratterizzato le elezioni presidenziali, la protesta di Moussavi, sostenuta da un buon numero di elettori, appare più uno scontro di forze all’interno del regime che il tentativo reale, o anche solo possibile, di uno scacco all’ attuale governo dittatoriale del presidente Ahmadinejad.
Mentre cresce la tensione tra le opposte fazioni nelle proteste per il risultato del voto, il candidato iraniano sconfitto ha ribadito in questi giorni la sua richiesta di annullare le elezioni in una lettera inviata al principale organo legislativo del Paese. Moussavi sostiene con forza che le elezioni dovrebbero essere annullate.
Questo tentativo di reazione alle prevaricazioni di Ahmadinejad ha provocato scontri, morti e feriti il cui computo è ancora difficile da decifrare. Intanto, non accenna a diminuire la tensione nelle strade con i sostenitori di Moussavi che cercano di usare tutti i mezzi per opporsi al regime di Ahmadinejad soprattutto nella zona meridionale di Teheran.
A nulla servono le misure di contenimento usate dalla polizia perché la rivolta non accenna a placarsi. L’atto più grave è sicuramente l’attacco al mausoleo di Khomeini, destinato a provocare l’ira degli iraniani che venerano il religioso sciita che nel 1979 capeggiò la rivoluzione per destituire lo scià che godeva dell’appoggio degli Usa, e che segna a questo punto la frattura insanabile che si è venuta a creare con queste elezioni.
Il paese è sull’orlo di una guerra civile. Nella capitale c’è un massiccio spiegamento di forze di sicurezza per evitare altri raduni e anche l’Ayatollah Ali Khamenei ha detto che i capi delle proteste saranno considerati responsabili di qualsiasi spargimento di sangue se le manifestazioni dovessero continuare. Le parole di ieri di Khamenei sembrano aver fatto riferimento a un prossimo giro di vite da parte delle autorità contro le manifestazioni, aggiungendo, inoltre, che le elezioni sono state vinte in modo trasparente da Ahmadinejad e che non ci sono stati brogli.
Mussavi, Karoubi e il terzo candidato sconfitto Mohsen Rezaie, pur invitati a partecipare a una sessione speciale del Consiglio dei Guardiani, hanno scelto di rinunciare in segno di protesta, soltanto Rezaie, un conservatore ex comandante delle Guardie Rivoluzionarie, si è presentato.
Il presidente americano Barack Obama ha scelto di adottare una linea morbida, perché, pur condannando le violenze delle forze di sicurezza e ribadendo che gli iraniani debbano essere liberi di protestare, non ha dato particolari segnali di voler intervenire per sanare la situazione.
C’è una grande sete di libertà e di democrazia in Iran purtroppo sfociata, come sempre, in risse, lotte, intimidazioni e morte. C’è una mentalità di fondo tutta da ripensare, evidentemente e su questa dura protesta, purtroppo provocata non da un reale desiderio di liberazione, ma mossa dalla mera ipotesi del broglio, che bisogna iniziare a lavorare, proponendo modelli alternativi di democrazia e sviluppo. Occorre intervenire per non lasciare il paese in balia delle folle inferocite e di capi che continuano a dettare legge, intimando a Stati Uniti e Gran Bretagna di smettere di interferire nelle vicende interne dell’Iran.
Dalle piazze incandescenti, dalle decine di morti, dai palazzi distrutti, ma soprattutto dalle parole del presidente Ahmadinejad sembra difficile poter intravedere uno spiraglio di pace. Di fatto l’Iran continua ad essere una bomba a orologeria che la comunità internazionale è chiamata a disinnescare prima che sia troppo tardi.