Ci sono settori industriali maturi, come ad esempio il tessile-abbigliamento e il calzaturiero, dove fare impresa è diventato sempre più difficile anche per la pressante concorrenza cinese e tuttavia ci sono imprese che proprio in questi anni e in quei settori hanno costruito esperienze di successo.

Il sistema-paese italiano non aiuta, rispetto ad altri paesi europei, l’internazionalizzazione delle nostre imprese e spesso anche la loro attività quotidiana è intralciata da vincoli utili a dare fastidio, ma non a regolamentare l’azione imprenditoriale e tuttavia anche in questi difficili frangenti tante aziende esportano quote importanti del loro fatturato. Ci si lamenta spesso dello stato delle nostre infra-strutture e di come questo causi un’ulteriore difficoltà per gli imprenditori e tuttavia si scoprono casi aziendali di successo dislocati in zone del paese impervie, addirittura oltre i mille metri di altezza e in comuni dove la strada finisce.

Si è sempre sottolineata l’importanza dei distretti per l’azione delle piccole e medie imprese, oggi un po’ meno per la verità, e tuttavia è facile individuare imprese con risultati economici positivi e continui nel tempo che operano a centinaia di chilometri di distanza dal distretto di riferimento. In tutti questi casi cosa è in grado di fare la differenza, chi determina che un’azienda vada bene e l’altra male? È l’imprenditore.

All’origine di ogni azienda, anche di quelle che oggi fanno fatica a trovare nuovi equilibri per riprendere a macinare successi, c’è sempre un imprenditore, una persona per cui un’idea non è solo un’intuizione destinata a restare tale, ma un’occasione per costruire, con un poco di fortuna e molta tenacia, un’opera economica. Alcuni di essi nelle variegate vicissitudini della propria avventura personale e professionale, si sono attardati su formule strategiche e organizzative che hanno garantito loro in un recente passato ottimi risultati, ma che oggi denunciano la propria crescente obsolescenza. In altri casi i buoni risultati di mercato sono stati raggiunti nonostante molte difficoltà da affrontare: sono aziende, queste più di altre, che esaltano la figura imprenditoriale perché il loro successo non è spiegabile se non con un’idea imprenditoriale particolarmente azzeccata e per la tenacia e bravura di chi le guida.

È indubbio, e sarebbe grave dimenticarsene, che dietro il successo di un’impresa c’è sempre l’identificazione e la dedizione intelligente di chi ci lavora, a tutti i livelli gerarchici, dal più giovane al più anziano, ma non è ancora adeguatamente sottolineato, mi sembra, il ruolo fondante dell’imprenditore; il lavoratore è per definizione dipendente, a tempo indeterminato o no, assunto o con partita IVA, perché dipende dal rischio imprenditoriale di qualcun altro senza del quale la sua posizione non esisterebbe.

Infatti, quando il lavoratore è autonomo la sua posizione si avvicina a quella dell’imprenditore, anche se spesso non crea occasioni di lavoro per altri. Imprenditori e lavoratori dipendenti rappresentano le due facce del problema lavoro: due aspetti complementari, ma temporalmente in sequenza. Senza i primi i secondi non hanno motivo d’essere, ogni tanto i secondi imparano dai primi il gusto del rischio e diventano imprenditori a loro volta.

Riconoscere, non solo simbolicamente, la figura dell’imprenditore può essere utile anche a sottolinearne i doveri sociali, a temperarne l’iniziativa privata nell’interesse della collettività più ampia, ad emarginare figure imprenditoriali, poche per la verità, che, nel loro essere più simili a pirati che a costruttori di imprese, ne danneggiano l’immagine complessiva.