Forse non hanno ancora il coraggio di dirlo, o più probabilmente stanno lasciando a noi passeggeri il compito di stendere l’amaro referto: l’Alitalia tira i remi in barca. Più appropriatamente abbassa le ali. Spesso ilsussidiario.net ha presentato analisi allarmate e giudizi critici sulla compagnia che pur abbiamo tanto amato al punto da strenuamente desiderare il prolungamento della sua esistenza. L’esperienza “sul campo” di migliaia di utenti comprova quel quadro.



Tra i tanti che vi avranno raccontato amici e parenti, aggiungete il mio caso. I miei ultimi cinque voli, tutti effettuati nel giro di quindici giorni, sono andati così: Londra-Roma, quattro ore di ritardo; Roma-Catania, un’ora di ritardo; Catania-Roma, un’ora di ritardo; Roma-Milano, un’ora di ritardo; Milano-Roma, 50 minuti di ritardo. Nel mezzo delle mie piccole odissee (so bene che nel mondo ci sono problemi più gravi) mi sono rivolto a una hostess, che mi ha guardato con commiserazione: “Certo, lei è stato sfortunato”. Cioè: non sono loro a non essere più in grado di far partire un aereo in orario, ma noi ad avere la sfortuna di prenderlo.



Le motivazioni addotte agli inconvenienti sono molteplici e multiformi: l’ultima era che il personale addetto ai passeggeri che necessitavano di assistenza speciale non si era presentato all’ora giusta (cioè: colpa dell’aeroporto). Poi ci sono gli equipaggi, che non si trovano mai o comunque non si trovano mai sull’aereo assegnato, per non parlare dei tautologici ritardi causati dai ritardi precedenti, e dei “controlli tecnici”, attualmente in testa alla classifica delle scuse ufficiali. Il supplizio comincia quando all’orario previsto per l’imbarco non si imbarca nessuno.

Poco dopo fa capolino un impiegato che annuncia quindici minuti. E comincia a guardare in direzione del telefono, in attesa di notizie. Fa spallucce davanti ai passeggeri che battono i piedi e cercano informazioni. Oppure subisce gli insulti, o ammette candidamente: “È vero, siamo sempre in ritardo, manca il personale, gli aerei sono vecchi e la fusione con Air One ha creato un casino…”. Lo sguardo è di chi ti invita a prendertela con i capi, perché loro, dagli impiegati ai comandanti, non c’entrano nulla.



Lentamente si arriva all’ora netta, che ormai è consueta. Mai succede che venga dichiarato il ritardo tutto intero così da prendere eventuali contromisure. In coda, davanti alla porta sbarrata, partono le telefonate per rinviare appuntamenti e raccomandare: “iniziate pure a cenare, vi raggiungo..”. Seguono mestizia e rassegnazione.

Del resto, basta sfogliare il numero della ricomparsa “rivista di bordo” Ulisse, che da qualche tempo non c’era più. Agli articoli pretenziosi e fumosi su città e paesi (ecco una perla che lascio anonima: “Il cibo è cultura tanto quanto la letteratura, la poesia, l’arte, la scultura”, cioè: Vissani come Piero della Francesca e Baudelaire) fa da contrappunto la totale assenza di informazioni utili. Pagine e pagine di irritante irrisorietà: le sfogli mentre pensi a tutto il tempo perduto da un check in all’altro e ti metti a cercare affannosamente un quotidiano del mattino anche se sono le sei di pomeriggio. Ecco come è viaggiare in aereo nella metà del 2009.

L’Alitalia ammette i ritardi e con gli ultimi dati relativi alla bassissima “quota riempimento passeggeri” dell’ultimo semestre conferma la tendenza di tanti a cercare soluzioni alternative. La sfiducia intacca ormai anche il manipolo degli irriducibili tifosi, ripagati con assenza di informazioni, maleducazione, incertezza. È questo che fa pensare ad una azienda troppo debole e sfibrata – ed è la cosa importante, al di là delle disavventure personali- per riuscire a convincere il mercato che la crisi è stata superata. Non sarà come l’altra crisi, quella grande, che è soltanto “quasi” finita?