Prendiamo in considerazione una serie di domande. Visto il sempre più crescente potere reso disponibile oggi dalla scienza e dalla tecnologia e vista l’interazione tra i diversi meccanismi di controllo del potere, politici, economici e culturali, conseguenza della globalizzazione, come è possibile trovare una base etica comune su cui fondare un ordine giuridicamente responsabile dell’esercizio del potere? In particolare, come si può raggiungere un accordo generale su che cosa è il nostro “bene comune”, così che lo si possa perseguire insieme anche quando questo comporti un danno per noi stessi?

Se il compito della politica è di applicare il principio della legge al potere, strutturando così l’esercizio del potere in modo che tutti lo possano ritenere giusto, quali devono essere le caratteristiche di un sistema giuridico che sia un vero strumento di giustizia e non un privilegio per quelli che hanno il potere di fare le leggi?

La soluzione a questo problema è un progetto di società veramente democratica in cui tutti collaborino alla formulazione delle leggi? Ma, essendo impossibile raggiungere un consenso totale, che cosa assicura giustizia alle minoranze? Esiste qualcosa antecedente a qualsiasi decisione della maggioranza che non può mai diventare legge perché rappresenta comunque un’ingiustizia?

C’è qualcuno che afferma l’esistenza di inviolabili “valori autosufficienti” che sorgono dalla sostanza di ciò che identifica l’essere umano, ma la ovvietà di questi valori non è riconosciuta in tutte le culture (si pensi alla divergenza di opinioni su cosa siano i veri “diritti umani”). Cosa bisogna fare, per esempio, di fronte all’accettazione della violenza in nome di valori negati o infranti?

Si consideri il caso del terrorismo a sostegno di diritti religiosi. Potrà mai la religione promuovere realmente l’accettazione di valori comuni oppure non è essa forse una forza arcaica e pericolosa che costruisce falsi universalismi che portano all’intolleranza e perfino al terrorismo? La
religione non dovrebbe essere ristretta dentro confini accuratamente disegnati? Ma chi decide questi confini? Richiamandosi a cosa? Alla ragione? Ma cosa è ragionevole e cosa non lo è? Chi decide?Dobbiamo dubitare della affidabilità della ragione stessa e metterla sotto custodia? Di nuovo, chi decide cosa questo comporta?

Qualcuno si rifà all’esistenza di una legge naturale che può essere riconosciuta e può servire come correttivo alla legge positiva, una legge basata sulla ragione e non su affermazioni religiose. Ma cosa fare delle differenze di opinione su cosa è veramente naturale e su cosa non lo è? Come possiamo sapere se vi è una razionalità nella natura stessa? Ciò rende praticamente impossibile giungere ad un riconoscimento universale di una “legge naturale” che possa essere accettata da tutti.

In una tale situazione, la possibilità di arrivare a un “ethos” rimane un’illusione. Gli stessi cristiani sono in disaccordo su quale sia la relazione tra ragione e fede cristiana. Forse, tutto ciò che possiamo fare per il momento è di portare avanti la discussione su ragione e convinzioni religiose, per aiutare secolaristi e credenti a riconoscere il loro bisogno gli uni degli altri.

Qui negli Stati Uniti il dibattito su assistenza sanitaria, aborto ed eutanasia ha portato alla ribalta queste domande, con crescente angoscia, rabbia, confusione e frustrazione. Comunque, l’elenco di queste domande urgenti non è mio: l’autore è il Cardinale Joseph Ratzinger nel suo dialogo con Jürgen Habermas, circa un anno prima di diventare Papa Benedetto XVI. Interessante…