La legge sul federalismo fiscale, approvata con un larghissima maggioranza dal Parlamento a fine maggio, rappresenta – come in più occasioni si è scritto – un passaggio fondamentale nella nostra storia istituzionale: ha infatti colmato quel gap tra potere di spesa e potere impositivo che si era creato a seguito dei processi di decentramento avviati prima con la riforma Bassanini (federalismo amministrativo) e poi con la riforma costituzionale del 2001 (federalismo legislativo). Il potere di spesa per circa la metà è stato decentrato, ma il potere impositivo no. Il sistema è rimasto fondato sulla finanza derivata.
Le entrate proprie di Regioni ed Enti locali, sono rimaste – come le ha definite Giarda – “entità metafisiche”. Si è così trasformato il principio no taxation without representation in una specie di mostro giuridico: representation without taxation. Il che non ha reso alcun un buon servizio né alla democrazia, né alla responsabilità. Il federalismo fiscale rappresenta quindi un’occasione per una rivincita della democrazia e della responsabilità. Soprattutto al Sud. La mancanza di federalismo fiscale ha reso, infatti, non necessaria la responsabilità nella gestione dei nuovi poteri che venivano trasferiti: rimaneva sempre un pagatore/garante di ultima istanza, lo Stato, cioè la generalità dei contribuenti. Questo sistema ha quindi favorito, moltiplicandolo in modo esponenziale, un atteggiamento culturale di tipo parassitario nei confronti della cosa pubblica; ha contribuito cioè a favorire, anziché contrastare, certi malcostumi propri di alcune nostre amministrazioni.
È recentemente emerso che nella sanità il debito accumulato dalle quattro regioni meridionali commissariate ammonta a circa 27 miliardi di euro, una cifra che è pari a una manovra finanziaria. La resistenza politica al commissariamento è stata, peraltro, fortissima. E intanto, la cronaca di questa estate ha portato alla luce una serie di casi indecenti, quello dei liquami scaricati nella grotta azzurra o quello dell’ospedale di Agrigento, costato a suo tempo circa cento miliardi di lire e probabilmente tutto da rifare, perché è stato costruito con un cemento pieno di sabbia che rende ora pericolante la struttura.
Giustamente, quindi, Tremonti ha definito il federalismo fiscale la “priorità delle priorità”, la “riforma delle riforme”, improntata su quattro parole: “responsabilità, moralità, equità, fiscalità”. Soprattutto responsabilità, perché metà dell’amministrazione pubblica è, in Italia, fuori dal vincolo democratico fondamentale: «È una metà che ha il potere di spesa pubblica, senza avere il dovere e l’onere della presa fiscale». Il prossimo autunno sarà quindi caratterizzato dall’avvio dei lavori per concretizzare il federalismo fiscale. È infatti in via di costituzione la Commissione tecnica paritetica incaricata di formulare le ipotesi di attuazione della legge approvata dal Parlamento.
La determinazione dei costi standard, il federalismo demaniale, la nuova autonomia impositiva regionale locale, una certa revisione dei privilegi di alcune regioni speciali, ecc. costituiranno la serie dei passaggi che dovranno essere affrontati nel giro dei due anni di tempo imposti dalla delega. Diventa concreta la sfida implicita nella nuova legge: quella rivolta a chiamare, come ha affermato recentemente il Presidente della Repubblica, soprattutto «le Regioni del Mezzogiorno, alla pari di tutte le altre, alla prova della responsabilità per l’uso economico e il rendimento qualitativo delle risorse pubbliche, nazionali ed europee».
È nella sfida della responsabilità che il meridione può tornare a fare fiorire i propri talenti, ma occorre una classe politica che sia all’altezza di questa sfida. Il federalismo fiscale, la cui attuazione partirà quindi nell’autunno, rappresenta la grande possibilità per ricostruire le condizioni di una gestione responsabile della cosa pubblica. Scopo del federalismo fiscale è, infatti, quello di mettere nelle condizioni, o meglio in un certo senso “costringere”, chi ha la responsabilità politica di far funzionare al massimo la “macchina” istituzionale che amministra, senza più ripiani statali a piè di lista. In un contesto di federalismo fiscale non sarà più indifferente, per l’impatto sui propri elettori, la gestione virtuosa o quella non virtuosa: gli elettori saranno – molto di più rispetto a oggi – nelle condizioni di misurare col voto chi governa in modo indecente e chi invece utilizza i poteri regionali per semplificare le normative per le imprese, per de-burocratizzare, per valorizzare le risorse della società civile, per risanare i bilanci della sanità.