Lette qua e là durante la settimana. La spesa annuale degli italiani per gli animali domestici è pari a 2,4 miliardi e si può pensare che un cane costi al suo padrone 80 euro al mese, 50 un gatto; 2 invece sono i miliardi annui che gli operatori incassano per i 60 miliardi di sms da noi inviati e, in generale, il mercato dei cellulari si è ampliato negli ultimi mesi del 15,4%; siamo il primo paese europeo per il consumo, svariati miliardi, di acque in bottiglia anche laddove quella del rubinetto presenta ottime caratteristiche oligominerali; le puntate al superenalotto in prossimità dell’estrazione milionaria sono impazzite, ma sono normalmente molto alte, vedi l’ammontare del montepremi. E via di questo passo. Tutti consumi non ricchi e dunque spalmati realisticamente sull’intera popolazione. Nessuno vuol negare il piacere della compagnia di un animale domestico, soprattutto a persone anziane e/o sole, la velocità della comunicazione, anche se spesso inutile, via cellulare, l’abitudine dell’acqua frizzante o il gusto del tentare la fortuna a buon mercato: si tratta però di spese assolutamente rinunciabili e strutturalmente incompatibili con l’eventuale crisi o povertà del bilancio familiare. Il fatto che continuino anche in pieno 2009 qualcosa vorrà pur dire.
Propendo, come sempre, per l’ottimismo: possiamo ancora permettercele. Ma se così non fosse si denoterebbe la presenza di un grande problema educativo: saper stabilire delle giuste priorità, saper dare valore alle cose è sempre più difficile. Probabilmente sono vere entrambe le ipotesi e la verità della seconda viene nascosta dalla realisticità della prima. Ed allora mi sembra importante riaffermare che la crisi la si combatte oltre che con le analisi e le risposte macroeconomiche anche con l’educazione della persona, oltre che con le giuste richieste a chi di dovere con, se necessario, i cambiamenti del singolo. Due esperienze, di cui recentemente hanno parlato i giornali, vanno in questa direzione, altre sono di volta in volta riportate in altra parte del Sussidiario La Curia di Genova, attraverso la Fondazione Santa Maria del Soccorso, propone l’adozione temporanea di famiglie bisognose e “spendaccione” da parte di altre famiglie “risparmiose” ovviamente a partire da una richiesta di aiuto delle prime. L’obiettivo è quello di aiutare a capire, rieducare al consumo. Sono coinvolte un centinaio di famiglie e un gruppo di ex-bancari che, partendo dalle cose più semplici, come dei buoni vicini di casa, semplifica la gestione del bilancio familiare. C’è poi l’esperienza dei Bilanci di giustizia iniziata a Verona da Don Gianni Fazzini e che oggi raccoglie 1200 famiglie a livello nazionale con una prima diramazione estera in Austria. Essere “bilancisti” significa condividere, confrontarsi, fare la spesa insieme tramite i gruppi di acquisto solidale, vivere con meno, risparmiare di più, essere più contenti (www.bilancidigiustizia.it).
Nessuno vuole intromettersi nelle scelte di vita dei singoli, ma, se necessario, affrontare in comune un momento difficile. Nella convinzione che farsi carico del bisogno delle persone non significa solo aiutarle a mantenere o incrementare le loro entrate, anche chiedendo a gran voce l’intervento del pubblico, ma altresì supportarle nella riduzione dei propri costi con una precisa assunzione di responsabilità. Che poi è la logica, ad un altro livello del vivere sociale, del federalismo fiscale o degli aiuti al Terzo mondo così come in parte proposto nel suo ultimo libro, Dead aid, da Dambisa Moyo.