Il blitz delle forze speciali americane in Somalia ha improvvisamente ricordato l’esistenza delle guerre segrete, coperte dal fumo e dall’esplosivo delle guerre conclamate. Un leader di Al Qaeda è stato ucciso o gravemente ferito e il suo corpo caricato sull’elicottero che portava in salvo gli autori della rischiosa missione.

In realtà non si tratta di guerre segrete nel senso che non si conoscono, ma di guerre condotte con altri sistemi, e che necessitano di discrezione e silenzio. Sono molto più delicate, complesse e sregolate delle altre. E spietate. Se una certa svolta c’è stata in Irak a seguito della nuova strategia americana per porre termine, o almeno un argine, alle stragi dei kamikaze (fase finale dell’amministrazione Bush), è soprattutto dovuta alle “azioni speciali”: oltre duemila terroristi, tra cui molti capi, sono stati eliminati senza clamori e senza battaglie. Difficile pensare che in Afghanistan, dove pure la situazione appare persino più complessa di quella irachena, non sia operante una simile strategia, e con il concorso di varie forze.

Ed è forse questo l’unico tipo di guerra conducibile contro i principi delle tenebre alqaedisti in Somalia. Ma occorre avere il fegato di farla, una guerra simile. In questo Obama non si discosta dal suo predecessore, ricordando a tutto il mondo che sono in corso partite un pochino più importanti della nuova misurazione del Pil proposta dalla Francia o della durata di Miss Italia e Porta a Porta (e va considerata con attenzione l’intervista al Corriere della Sera del nuovo ambasciatore americano a Roma che al suo esordio richiama curiosamente la troppa dipendenza dell’Italia dalle fonti energetiche straniere).

Il caso Somalia è il più incredibile e dannato caso della cronaca internazionale contemporanea. Dalla fine della dittatura nessuno è riuscito a venirne a capo, e giorno dopo giorno, anno dopo anno, davanti ai nostri occhi di affettuosi ex colonizzatori, epperò dai rapporti poco limpidi, l’incubo si è fatto più cupo e orribile.

Nel tempo i famigerati signori della guerra e dei traffici (due missioni internazionali per mettere fine al massacro fallirono: per gli italiani con il sangue del “checkpoint Pasta”, per gli americani con i morti del giorno del Black Hawk down, che tra l’altro è anche un film capolavoro) hanno ceduto il passo alle armate islamiste, prima sotto l’uniforme quasi presentabile delle Corti Islamiche, poi non c’è stato bisogno di alcun travestimento: Al Qaeda e tutta l’accozzaglia di sigle dell’ultraterrore internazionale erano lì schierati sul campo.

Non è servito l’esercito etiope che per un anno ha tentato di pacificare, come ora non serve l’imbelle missione della forza interafricana. Per anni l’Onu e l’Unione Europea hanno mantenuto in vita extracorporea l’intero parlamento somalo autoesiliato a Nairobi: quattro o cinque alberghi affittati per ospitare centinaia di “deputati”, familiari e portaborse (tutto il mondo è paese); nel frattempo il presidente non poteva tornare a Mogadiscio, “altrimenti mi ammazzano”.

Un caso dannato e incredibile che aveva tutte le caratteristiche per diventare ciò che è diventato, un “Afghan-Irak” del Corno d’Africa, ma ancor più fuori controllo e impazzito, con il suo traffico di terroristi e armi per la e dalla Penisola Araba: certi porti e certi scintillanti aeroporti, tanto frequentati dai turisti europei, non applicano alcun controllo in cambio di tranquillità. La Somalia contagia l’intera regione di timori e di strategie oscure. Come la guerra che vi si combatte.