“Sono Tony e vengo da Marte”

Riprendendo le attività consuete, in questo scorcio di fine estate occorre non perdere la testa nel caos della consuetudine. ssa impone che la vita nelle città riparta da dove l’avevamo

Riprendendo le attività consuete, in questo scorcio di fine estate occorre non perdere la testa nel caos della consuetudine. Essa impone che la vita nelle città riparta da dove l’avevamo lasciata: liti ai semafori e parcheggi in tripla fila (a Roma), noia davanti all’imminente ritorno in classe come al frusto e irrisorio “dibattito” sulle prossime celebrazioni dell’unità d’Italia, apprensione per il lavoro e smarrimento di fronte alle due autoreferenziali scuole di pensiero sulla crisi: “il peggio è passato”, “siamo in pieno disastro”; o anche, le guerre di carta e per la carta (un certo quotidiano-bombardiere in questi giorni ha superato le duecentomila copie di vendita), che ci hanno accompagnato tutta la primavera e che alla fine producono soprattutto devastazioni nelle e tra le persone, rendendo tutto più brutto e più oscuro. La consuetudine ci vuole schiavi del comunque. Comunque non cambia nulla, comunque nessuno si salva. Occorre non perdere la testa per rimanere con il pensiero attaccato, incollato, alla vita vera, a ciò che è accaduto e continua ad accadere, all’àncora della realtà che ogni giorno ti viene gettata davanti: ehi, sono qui, con te e per te.

Pochi giorni fa, in fondo poche ore fa, si è chiuso il Meeting. L’abbiamo vissuto in tanti, in centinaia di migliaia. Sono accadute e sono state dette cose importanti, molto importanti. E reali, vitali, sperimentate. Non possiamo perdere l’intervento di Tony Blair. Ascoltandolo, un significativo esponente della Santa Sede, ne ha sottolineato novità (“ha citato più volte Benedetto XVI, ha parlato della complementarietà ragione-fede e dell’identità come condizione vera di un dialogo tra diversi: solo due anni fa mai avremmo sentito un simile discorso”) e originalità (“non ha parlato della fede ma dalla fede, cioè a partire da essa”). Un leader mondiale capace in pochi minuti, davanti ai flash di decine di fotografi, di cogliere al volo il significato dell’esperienza di recupero umano dei carcerati o della ricerca intorno al principio di sussidiarietà, può anche essere partito da Marte, ma a Rimini è arrivato davvero e ha scelto il cantiere-Meeting per dire la sua sulla costruzione del bene comune. Un fatto che si può ignorare o sminuire, ma in nessun modo alterare o cancellare.

Il bello della realtà è proprio questo: esiste indipendentemente da noi, ma senza di noi, senza il nostro attivo riconoscimento è muta e opaca. La realtà ha bisogno degli uomini. Non possiamo perdere i Nobel della Fisica e il più grande paleontologo vivente. Ci si può rammaricare (e anche qualcosa di più) se ai media nostrani interessano più le escort e le note informative di non-si-sa-chi-e-non-si-sa-perché che non i cercatori dell’infinito, ma basta così, andiamo avanti a costruire con questi affascinanti esploratori. Non possiamo perdere il premier del Kenya che ha coraggiosamente dato un taglio al tradizionale vittimismo africano: “Il colonialismo è finito da cinquanta anni, è tempo di guardare a noi stessi”. Non possiamo perdere l’intera esperienza del Meeting con le sue decine di incontri sorprendenti, le mostre, le facce, le parole potenti, i volontari (così ben fotografati da Giorgio Vittadini). Una ricchezza vista e vissuta che sfida sul loro proprio terreno ogni consuetudine, ogni comunque, ogni cinismo. Se non perdiamo la testa questo scorcio di fine estate potrebbe anche diventare interessante. 

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