Lo schiaffo di Bagnasco

Le parole di Bagnasco non possono lasciare indifferenti, perché la possibilità di una pacificazione nazionale costituisce l’elemento chiave per arrivare a un vero cambiamento

«È insopportabile concentrarsi unicamente sulla denigrazione reciproca, arrivando talora a denigrare il Paese intero pur di far dispetto alla controparte». La speranza di un possibile dialogo nella vita pubblica del nostro paese non può e non deve cessare con l’approssimarsi di una scadenza elettorale.

 

Per questo le parole pronunciate ieri dal cardinale Bagnasco risultano tanto condivisibili nella sostanza, quanto intelligenti per le tempistiche. Sono parole che non possono lasciare indifferenti, perché la possibilità di una pacificazione nazionale costituisce l’elemento chiave per arrivare a un vero cambiamento e quindi a riforme in grado di far ripartire il paese.

Per capire in quale modo il dialogo può essere il vero motore del cambiamento italiano dobbiamo avere ben presente cosa debba essere per noi un vero dialogo. Il Cardinal Bagnasco ha detto che «il Paese ha bisogno di uscire dalle proprie pigrizie mentali, dai pregiudizi ammantati di superiorità, per essere meglio consapevole delle risorse e delle qualità di cui dispone, per dare una giusta considerazione ai successi conseguiti».

Insomma dialogare oggi è possibile solo se si è partecipi di un unico e medesimo dramma: il dramma dell’uomo che vuole restare se stesso in un mondo che è diventato nemico di questo desiderio. Un mondo che tende a impedirti di riconoscere l’altro come diverso, ma lo identifica come nemico e come tale lo obbliga a stare nella categoria dei vincitori o dei vinti, mai di coloro che hanno il tuo stesso destino.

Paradossalmente ci sembra di capire maggiormente chi sono gli altri quando li dominiamo; e li dominiamo quando li adattiamo a una forma di conoscenza fissata a priori: l’ideologia. Pensiamo di arrivare a conoscere meglio l’altro quando pronunciamo su di lui una sentenza senza appello: “Con lui mai”. Ma questo tipo di conoscenza non fa che aumentare la nostra chiusura e la sensazione di sentirci minacciati.

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A questo punto anche la naturale tendenza che la politica ha a comporre conflitti viene travisata perché cercare il dialogo diventa “inciucio”, cioè commistione abominevole con chi non merita cordialità perché per sua natura “immondo” o più semplicemente “antidemocratico”. Bagnasco ammonisce giustamente anche i media «che devono corrispondere ai compiti di informazione e di controllo che sono loro propri in una società evoluta, non devono cadere nel sistematico disfattismo o nell’autolesionismo di maniera».

 

In altre parole un mezzo che dovrebbe favorire la comunicazione e la conoscenza delle differenti ragioni diventa strumento di odio. Accade per la televisione come per i giornali. Nell’esperienza dell’ideologia che immagina uomini perfetti i mezzi di comunicazione hanno il solo scopo di far risaltare le contraddizioni degli altri.

 

Ma l’esperienza del cristianesimo non è mai ideologica. Perché non suppone l’idea di un uomo perfetto. C’è infatti chi continuamente ammonisce i popoli dicendo che un uomo perfetto è “realizzabile” ed è di quella categoria solo chi prende una determinata tessera, solo chi prende una determinata posizione politica.

 

Più semplicemente dialogare vuol dire assumersi la responsabilità di fare un passo avanti insieme verso la verità. La verità è un fatto fuori di noi: la possiamo incontrare e riconoscere e siamo chiamati a servirla. Metterla in evidenza nel nostro dialogo è l’unico modo di lanciare una sfida al mondo al di là del proprio male. E al di là del proprio male c’è la possibilità di costruire il bene per tutti.

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