Anno nuovo vita nuova, si dice. Ma non ci si crede veramente. E come si potrebbe? Dopo l’Epifania, che tutte le feste le porta via, ci si ritroverà di fronte allo spettacolo di giorni che sono identici a quelli che li hanno preceduti. Abbiamo trascorso le feste cercando attimi e cose speciali, diverse da prima: il grande cenone invece del pranzo in piedi al bar; svegliarsi tardi invece che giusto in tempo per prendere auto o mezzi e andare a lavorare; se ne abbiamo avuto la possibilità, abbiamo anche passato qualche giornata sulla neve invece che in città; all’ultimo dell’anno abbiamo tirato tardi, nella trepida attesa che il vecchio 2009, un anno solito, se ne andasse e arrivasse il giovane 2010, salutato allegramente perché nuovo di pacca.
Ma, magari, sono bastati quattro giorni per accorgerci che anche questo «nuovo» anno non è poi così differente dal precedente. Il fatto è che abbiamo sperato che la novità, il re-inizio potesse dipendere meccanicamente da qualcosa di esterno, come se il passaggio cronologico da un certo istante ad un altro, che determina un convenzionale cambiamento di nome, fosse sufficiente a cambiare la realtà. Ma ci siamo accorti che l’inesorabile scorrere del tempo non sembra preoccuparsi delle nostre misure e dei differenti nomi che noi diamo ai suoi spezzoni. Eppure, non è vero che sia tutto uguale a prima, che il tempo di oggi è come quello di ieri, che il 2010 è come il 2009. Il passato non ritorna mai uguale in tutto e per tutto: ho un anno in più, conosco e conoscerò persone e avvenimenti che ieri non mi appartenevano, faccio una bella scoperta oppure mi ritrovo con un inedito acciacco.
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Ma allora, perché tutta questa reale novità non è sufficiente a darmi la lieta certezza che stia cominciando qualcosa di veramente nuovo, che si stia verificando per me un re-inizio? Perché il nuovo non è il diverso, ma il vero. Il semplicemente diverso lo si consuma e alla fine – più o meno in fretta – lo si butta nel calderone del già saputo, dell’ovvio. Esaurita la spinta della novità esteriore, rimane vecchio col suo carico di attese disilluse. Il vero, invece, è sempre nuovo, perché è ciò di cui ho bisogno; ed è sempre bello, anche se l’ho visto un milione di volte, perché è ciò che cerco.
Qualcuno ha detto che il paradiso sarà una perenne sete sempre perennemente soddisfatta. Non ci sarà mai la noia del già saputo e niente potrà essere consumato dalla vecchiaia. Ma già ora posso sperimentare la fresca novità del vero. Quegli amici di sempre che ti sorprendono con una frase particolarmente azzeccata; quei libri che hai già letto e che, riprendendoli in mano, ti sembra di accostare per la prima volta; quelle preghiere che hai recitato assonnato e incosciente decine di mattine e che quel giorno ti lasciano a bocca aperta perché sembrano scritte proprio per te; quella musica canticchiata a memoria di cui senti per la prima volta una melodia o un passaggio.
La grandezza, diceva Albert Camus, arriva come un bel giorno; un giorno che sembrava uguale a tutti gli altri. Non dipende da noi. A noi tocca non essere distratti nella rincorsa affannosa di un diverso che ha solo la faccia esteriore del nuovo. A noi tocca avere gli occhi sufficientemente aperti per accorgersene.