“Non vi permetteremo di celebrare le feste”: questo è quanto minacciavano a gran voce nell’ultimo periodo alcuni gruppi di musulmani rivolti al vescovo egiziano Kirollos. Si trattava di minacce molto serie, e il vescovo lo sapeva, sentiva un’aria negativa l’altra sera.
Purtroppo non è stato sufficiente l’aver accorciato la funzione natalizia del 7 gennaio. Poco prima della mezzanotte infatti, un commando armato ha sparato all’impazzata contro un gruppo di fedeli della chiesa di San Giovanni a Nag Hamadi, nella provincia di Qena, a una sessantina di chilometri da Luxor. Gli assalitori hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato sulla folla, provocando una strage: 7 morti e 9 feriti gravi. Il Vescovo aveva lasciato la chiesa qualche minuto prima dell’arrivo del commando armato.
A scatenare le violenze, il presunto stupro di una dodicenne musulmana avvenuto nel novembre scorso. Nei giorni seguenti, la comunità islamica locale ha bruciato proprietà cristiane e danneggiato edifici. La polizia ha invitato il vescovo Kirollos a restare al sicuro nella propria abitazione, nel timore di nuove violenze.
È urgente che venga espressa da tutti la più ferma condanna per un atto infame e gravissimo che ripropone con forza lo scempio dell’intolleranza religiosa. Urge soprattutto che il governo egiziano si mobiliti a protezione di una minoranza sotto costante minaccia.
È compito della Comunità internazionale e dell’Unione Europea assicurare a tutti, comprese le minoranze, di esprimere liberamente il proprio credo, in nome di quegli ideali di pace e di giustizia su cui si fondano le nostre comunità.
Come è noto, l’Egitto è un paese abitato maggiormente da musulmani che discriminano continuamente la minoranza cristiana (10% della popolazione). Negli innumerevoli episodi degli ultimi anni, provocati dal considerevole aumento del fondamentalismo islamico, c’è una comunanza di metodo e di giustificazione degli atti da parte di questi ultimi: le dispute nascono su questioni che potremmo definire di vita quotidiana, come ad esempio questioni terriere, liti condominiali o contese per le donne.
Lo scontro si trasforma in tempi rapidissimi in contrapposizione religiosa nella quale ha la peggio sempre la minoranza cristiana, sintomo del fatto che siamo di fronte a una persecuzione strisciante che viene spesso camuffata da chi ne è protagonista.
Fede, religione e spiritualità sono sempre maggiormente riconosciute da tutti come un fattore imprescindibile della vita personale e comunitaria di un individuo. Hanno un ruolo rilevante nell’ordine pubblico e nella stabilità sociale. Sono alla base per quanto riguarda le motivazioni sul lavoro, nell’educazione e per la partecipazione civica. Allo stesso tempo i Governi devono fare i conti con una crescita esponenziale dei fenomeni discriminatori tra individui di diverse confessioni.
Per un grandissimo numero di persone oggi la fede religiosa e l’affiliazione a una comunità costituisce l’aspetto più importante della propria identità. In contesti come quello mediorientale, dove soprattutto dopo l’11 settembre 2001 si guarda al cristiano come un surrogato della potenza da distruggere, è grandissima la responsabilità di governi cosiddetti moderati come quello egiziano.
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Essi, se vogliono veramente un futuro di pace e di dialogo, devono utilizzare ogni mezzo in loro possesso per difendere le minoranze come quella cristiana. Il dialogo tra diverse culture e religioni non può essere un dialogo astratto né deve dare per scontato che l’esperienza religiosa è vissuta nella sua verità e nella globalità delle sue dimensioni. Questo dialogo deve fondarsi sulla tolleranza e la verità. Tolleranza non significa qualunquismo. Tolleranza significa rispettare le convinzioni degli altri, salvaguardando le proprie, e quindi convivere senza violenza.
Nel nostro mondo testimoniare la fede come qualcosa che compie la nostra umanità sta diventando sempre più difficile. Come restare allora certi e saldi, considerando che tutto ciò che succede lì, può succedere a chiunque di noi in qualunque istante?
Occorre ogni giorno di più un altissimo senso di responsabilità di vicinanza e di amore per questi nostri fratelli, dobbiamo entrare in campo tutti con una straordinaria forza perché, salvando i cristiani, permettiamo a Dio di essere nel mondo e di continuare a essere l’unico vero fattore unificante per gli uomini, uniti nella diversità e nell’imperfezione.