La diretta è la cifra distintiva dei media d’oggi. Contemporaneità, simultaneità. Tutto sembra avvenire sotto i nostri occhi. Tutto sembra poter accadere ora, davanti a noi. Lo vediamo “live”. Lo sentiamo “dal vivo”. Ecco il rumore dell’argano che sputa fuori dalla terra nera i minatori cileni. Ecco la cugina cattiva che sfila incappucciata proprio in questo istante, rasente il muro, davanti alle nostre telecamere.



Totti ha appena segnato, se fai in fretta lo rivedi subito. Tra poco Santoro parla alla nazione. Anche il video di Fini non si può dire davvero registrato, è caldo caldo, ribatte all’ultimo lancio d’agenzia. Questa stagione televisiva ha decretato, per le grandi tv, il dominio dei prodotti di attualità.

Resistono ancora programmi preconfezionati di successo, ma paiono quasi stonare. Il tramonto di ascolti dei film sulle tv generaliste è un segnale del cambiamento. Quella digitale è l’era della abbondanza televisiva, nella quale l’offerta di prodotti finiti (film, telefilm, programmi ever green, documentari, rubriche precotte) è potenzialmente infinita.



Per le tv leader c’è una sola strada: produrre sul fatto, andare in diretta, tenersi accesi sul mondo. Il successo della cronaca, dei talk politici, perfino del calcio testimonia un grande bisogno di attualità, di essere informati sul presente, di entrare nella realtà, conoscerla davvero, oltre il velo della notizia guidata o preconcetta.

Ma la diretta è davvero garanzia di verità? Naturalmente no. Innanzitutto, non esiste la neutralità mediatica né tantomeno televisiva. Ogni prodotto tv, anche se in diretta, deriva da scelte autorali. In secondo luogo, la sola moltiplicazione di rappresentazioni del reale non ne aumenta la possibilità di comprensione. In questi giorni l’Italia intera è stata per ore davanti al pianto disperato di un padre e una figlia, per scoprire poi che le loro, forse, erano le menzogne di un tremendo delitto.



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Sembra di vivere la realtà perché la vediamo in tv. Dire “ero lì mentre succedeva…” diventa sinonimo di “ero lì mentre lo trasmettevano…”. Simultaneo deriva da “simul”, come se la vicinanza temporale garantisse veridicità (ma, invece, tante volte, non è proprio il passare del tempo che rende giustizia alla verità di un fatto?).

E’ il concetto stesso di esperienza che viene travisato. Fare esperienza non è solo assistere. La diretta tv, la simultaneità del web, la immediatezza degli altri media sono grandi conquiste, che non dispensano, però, dal lavoro di giudizio per comprendere ciò che succede. Invece, il carosello delle rappresentazioni di realtà può ubriacare e lasciare inebetiti, come davanti a un film montato da un pazzo, in cui non si capisce niente.

In terzo luogo, il sistema dei media si è ormai organizzato in modo complesso, con l’integrazione di tre livelli. Tutto inizia sempre su internet, in cui viene seminata una anticipazione, un lancio, una indiscrezione. Poi è la tv che crea l’evento, porgendolo a tutti con la facilità del suo linguaggio e rendendolo universale. Infine la stampa torna sul fatto con i commenti. Questo vero e proprio “sistema dei media” può essere gestito solo da grandi gruppi imprenditoriali o finanziari.

Di fronte a tanta potenza di fuoco, che abilmente crea eventi e li diffonde a pioggia, vale la domanda: è possibile mettere al centro delle discussioni, del pensiero quotidiano, della stessa esperienza qualcosa che non nasca da questo “sistema”? Il meccanismo è potente e oliato, ma – come scriveva il ceco Havel nel 1978 (ma sarà davvero lo stesso Vaclav dei nostri giorni?) – il potere dei senza potere è il granello di sabbia che ferma tutto l’ingranaggio, affinché – diremo noi – si senta finalmente la voce di colui che grida nel deserto.