Il “Canone del Tea Party”: così Kate Zernike sul New York Times definisce le principali idee filosofiche (e teologiche) che influenzano i teorici del “Tea Party Movement”, mentre le lezioni di mezza legislatura si avvicinano. Ed ecco il tipo di idee che, secondo il suo articolo del 1 ottobre, vengono promosse ovunque, dai cartelli di protesta alle piattaforme del Partito Repubblicano.
«I pamphlet del Tea Party chiedono una seconda Rivoluzione Americana», scrive la Zernike. Le opere che i teorici del movimento suggeriscono comprendono The Law (La Legge), di Frédéric Bastiat, pubblicato nel 1850, in cui si proclama che tassare il popolo per sovvenzionare scuole o strade è un furto sancito dal governo, e Road to Serfdom (La strada verso la schiavitù) di Friedrich Hayek (1944), dove si afferma che un governo che interviene nell’economia finisce inevitabilmente per interferire in ogni aspetto della vita dei suoi cittadini.
C’è anche The 5000 Year Leap (Il balzo di 5000 anni), pubblicato in proprio nel 1981 da un crociato anticomunista mormone, isolato dai suoi correligionari per le sue posizioni molto controverse, come la accesa difesa della John Birch Society, un’organizzazione di estrema destra. Il suo libro “asserisce” che i Padri Fondatori non volevano la separazione tra Chiesa e Stato e avrebbero considerato “peccato” le tasse destinate al benessere di altri.
Questi libri, scrive la Zernike, «hanno fornito zavorra intellettuale per un segmento di elettori arrabbiati o frustrati dalla situazione economica e dal crescente intervento del governo. Sono riusciti a convincere i loro lettori che gli economisti, i Padri Fondatori e, perfino, Dio, sono con loro nell’accusare il Presidente Obama e i Democratici di essere “socialisti”. Hanno, quindi, offerto una lettura alternativa a quella che i sostenitori del Tea Party denunciano come l’interpretazione “progressista” dell’economia e della storia nei testi che vanno per la maggiore».
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Zernike riassume così: «In sintesi, il canone sostiene una visione del Paese dove il ruolo del governo è di proteggere la proprietà privata, contro le tasse quanto contro i ladri. Dove la religione ha un ruolo maggiore nella vita pubblica e dove ogni rete di protezione sociale è incostituzionale».
Esiste un «codice non scritto che vieta al governo di interferire con il ”perseguimento di fini e desideri personali”».
Zernike ci ricorda che nel Maine, la scorsa primavera, gli attivisti del Tea Party costrinsero la convention repubblicana a rigettare la piattaforma del partito per sostituirla con una che incitava a «tornare ai principi di economia della Scuola Austriaca» come esposta da Hayek, e alla convinzione che «la libertà di religione non significa libertà dalla religione». Questa nuova piattaforma includeva anche l’idea che «è immorale rubare quanto guadagnato da una persona e darlo a un altro che non ha nessun titolo o diritto per usufruirne».
Queste idee sono fortemente basate sui classici della Scuola Austriaca e chi le propone pensa ad una nuova prospettiva sulla Costituzione e sui Padri Fondatori. Tuttavia, come osserva la Zernike, questa interpretazione della Costituzione avviene «in un modo che la maggior parte degli studiosi non accetterebbe, perfino quelli che sostengono una sua interpretazione “originalista”».
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Secondo questa concezione, i Padri Fondatori erano guidati da 28 “principi di libertà”, derivanti dalla convinzione che il governo dovrebbe essere fondato sulla “Legge Naturale” o su “un codice di retta ragione dal Creatore stesso.” I fondatori credevano nella protezione di diritti uguali, non nell’uguale distribuzione delle cose…
Quando Jefferson parlava di «un muro di separazione tra Chiesa e Stato» si riferiva solo al governo federale ed era, in realtà, «ansioso» che i governi statali «promuovessero la religione (…), che le scuole pubbliche fossero usate per lo studio della religione e si incoraggiasse la lettura della Bibbia».
Il fisco è visto come un “saccheggio legalizzato”. Permettere al governo di prendere qualcosa da una persona e utilizzarlo a beneficio di qualcun altro è «fare ciò che il cittadino non può fare senza commettere un crimine».
Secondo questa concezione, le tariffe agevolate, il salario minimo, i programmi di pubblica assistenza, presi nel loro insieme «costituiscono socialismo».
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Cosa si deve pensare di tutto questo? Lo si confronti con le seguenti citazioni.
Le entrate fiscali e la spesa pubblica sono di cruciale importanza per ogni comunità civile e politica. L’obiettivo che deve essere ricercato è un finanziamento del pubblico che diventi esso stesso capace di diventare strumento di sviluppo e solidarietà. Un finanziamento del pubblico equo, efficiente ed efficace ha effetti estremamente positivi sull’economia, perché incoraggia la crescita dell’occupazione, sostiene le imprese e le attività non profit, aiutando ad aumentare la credibilità dello Stato come garante dei sistemi di protezione e sicurezza sociale, progettati soprattutto per proteggere i membri più deboli della società.
La spesa pubblica è diretta al bene comune quando vengono osservati alcuni principi fondamentali: il pagamento delle tasse come parte del dovere di solidarietà; un’applicazione della tassazione ragionevole ed equa; precisione e integrità nell’amministrare e distribuire le risorse pubbliche. Nella redistribuzione delle risorse devono essere rispettati i principi di solidarietà, equità e deve essere fatto uso dei talenti. Occorre anche prestare la massima attenzione alle famiglie, destinando un ammontare adeguato di risorse a questo scopo.
Questi brani sono tratti dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, preparato dal Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, par.355. Questo discernimento è il frutto della rivelazione di Dio come Carità e della creazione della persona umana come essere chiamato a partecipare alla vita divina attraverso l’unione con Cristo.
Questo è ciò che la ricerca della santità apporta alla vita della società. La differenza tra questa posizione e un’ideologia, nata dalla rabbia o dalla frustrazione, è ovvia.
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