Continua l’attacco del potere giudiziario nazionale ed internazionale (e delle sottostanti lobbies) alla legge italiana sulla fecondazione assistita, la legge 40/2004, approvata dal nostro Parlamento nazionale con una maggioranza trasversale ai diversi schieramenti, segno di un’ampia e non partigiana condivisione dei valori che la animavano, e non abrogata dal popolo italiano a seguito del referendum del 2000.
Ricordiamo che cosa diceva questa legge: essa aveva conferito piena protezione giuridica agli embrioni, sancendo che essi non possono essere prodotti/distrutti a scopo di ricerca, che non possono essere crioconservati e che dunque, una volta prodotti – e non se ne sarebbero dovuti produrre più di tre – avrebbero dovuto essere tutti impiantati a meno che, ictu oculi, non risultassero inadatti all’impianto; niente diagnosi preimpianto, dunque, per le chiare implicazioni eugenetiche che tale pratica avrebbe potuto ingenerare.
La legge prevedeva (e per fortuna ancora prevede) un’autorizzazione per i centri che praticano tali interventi (mettendo così fine al cosiddetto “far west” procreativo), l’accesso alle tecniche solo per coppie accertatamente sterili (e quindi ragionevolmente stabili), il divieto di fecondazione eterologa, sanzioni non indifferenti per chi (medici) trasgredissero tali norme. Insomma, un impianto coerente con la premessa, cioè con la necessità di tutelare l’embrione pur consentendo, entro limiti, un accesso regolamentato alle nuove tecniche procreative.
Oggi, con l’attacco portato dal Giudice di Firenze alla costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa della legge italiana, siamo di fronte all’ultima, in termini di tempo, puntata della sistematica distruzione di tale impianto normativo realizzata prima dai giudici ordinari (che hanno attaccato il divieto di diagnosi preimpianto), poi dalla Corte costituzionale italiana e, ancora, pochi mesi fa, dalla Corte di Strasburgo (la stessa, per intenderci, che ha condannato l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle scuole), la quale ha sanzionato questa volta l’Austria.
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La quale consentiva sì la fecondazione eterologa ma solo per donazione di sperma (e non per donazione di ovulo): in quest’ultimo caso la Corte europea aveva considerato contraria al divieto di discriminazione la norma che vieta la donazione solo alle donne (gender discrimination) mentre le istituzioni austriache (Parlamento in primis ma anche la Corte costituzionale nazionale) avevano difeso la legge come legge che conservava il principio tradizional-naturale, ritenuto socialmente utile e culturalmente condiviso dalla popolazione, della mater semper certa.
In verità, la Corte europea aveva poi argomentato lasciando una certa libertà di scelta agli stati, ma questo aspetto è stato totalmente sottaciuto nei commenti mentre tutti si sono affrettati a sottolineare le possibili negative implicazioni della decisione sulla normativa del nostro Paese. Non stupisce quindi che, anche sulla scorta di letture parziali della decisione europea, qualche giudice italiano si muovesse per togliere ancora un tassello dalla legge in esame attaccando il divieto della fecondazione eterologa: censurata l’Austria che la ammetteva a metà, si è detto, adesso potrebbe toccare all’Italia che la vieta del tutto. Tanto vale, allora, anticipare i tempi e investire della questione la Corte costituzionale che l’anno scorso aveva dato il suo contributo abolendo il limite rigido del divieto di produrre massimo 3 embrioni (e con ciò ponendo nel nulla la tutela dell’embrione, il divieto di crioconservazione etc…).
Vedremo che cosa farà la Corte, se proseguirà nel suo trend di opposizione alle scelte legislative o se avrà qualche ripensamento. Ma: poche illusioni. Il Nobel al padre della fecondazione assistita non lascia spazio a equivoci sul clima culturale che domina nelle nostra società e che considera diritto ogni desiderio e discriminazione ogni possibile limite, anche il più ragionevole, apposto a tutela della dignità di tutti gli essere umani, che sono da considerarsi tali dal momento del concepimento fino alla loro fine naturale.