Dopo aver salvato i finanziamenti alla scuola paritaria, i parlamentari più attenti e sensibili hanno un’altra missione da compiere: il 5×1000. L’emendamento alla legge di stabilità (ex finanziaria: e occorre dire che raramente i nuovi nomi delle cose sono migliori dei precedenti) che punta a recuperare due miliardi e mezzo dall’asta per le frequenze televisive (che fino a ieri era un beauty contest gratuito, boh!), prevede la riduzione del 75% dell’ammontare destinato al 5×1000, e cioè da quattrocento a cento milioni di euro.

Un provvedimento particolarmente odioso e incivile. Odioso perché colpisce quelle migliaia e migliaia di opere sociali e culturali che sono l’àncora di salvataggio della nostra società. Incivile perché interviene su una libera scelta dei cittadini contribuenti, con ciò misconoscendo il principio di sussidiarietà del quale tutti nei convegni, specie se sono presenti cardinali e vescovi, si riempiono la bocca.

Quando il 5×1000 venne approvato qualche anno fa grazie al lavoro dell’attivissimo Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà (che oggi e venerdi a Roma propone la sua annuale sessione pubblica) furono davvero grandi e universali la sorpresa e la soddisfazione. Sembrava l’inizio di un cammino serio. Riconoscimento della libertà di scelta, dei corpi intermedi, del ruolo pubblico delle aggregazioni sociali, del mutuo interesse tra cittadini e famiglie, e così via riconoscendo.

Lo Stato e lo statalismo sono però sempre rimasti in agguato e non si è mai riusciti a rendere stabile e definitivo il provvedimento, sempre affidato alla finanziaria (e dunque al bilancio) di turno. Non solo, ma anche i soldi sono sempre rimasti precari. A parte i ritardi sconsiderati nella liquidazione delle somme ai destinatari, come se fossero proprietà dello Stato e non soldi dei cittadini, anche il montante globale è stato soggetto all’arbitrio dell’amministrazione pubblica.

Quei soldi sono stati “presi a prestito” per risolvere emergenze e tappare buchi e non si è mai capito perché se mai dal 5×1000 arrivassero 800 milioni di euro gli enti destinatari non possano riceverne più di 400. Un altro problema rimasto in sospeso è quello di un maggior rigore nella titolarità dei soggetti destinatari.

 

Per accaparrarsi il 5×1000 ne hanno inventate di cotte e di crude: dagli editori che dal proprio giornale reclamizzavano donazioni alla propria Fondazione dagli imprecisati scopi sociali, a ricchissime associazioni professionali che si sono create un’apposita onlus per l’evidente scopo di dragare denaro dai propri iscritti e mantenerlo “in casa”.

 

Insomma la norma doveva essere perfezionata e migliorata e sicuramente irrobustita. E invece dalla legge in discussione da ieri è arrivata la mazzata, lo Stato torna a dire ai cittadini che non possono scegliere, è lui a farlo per noi. E infatti trova sempre i soldi per giornali di opinione, di partito e di fantomatiche cooperative (tutti senza mercato o quasi; per non parlare delle agenzie di stampa che senza soldi pubblici non starebbero in piedi).