Il parlamento europeo ha approvato ieri, su mia proposta, una risoluzione comune su “Iraq – in particolare la pena di morte (compreso il caso di Tareq Aziz) e gli attacchi contro le comunità cristiane”. Nel testo compaiono due distinte problematiche che si potrebbero cosi sintetizzare: giustizia in Iraq e giustizia per l’Iraq.
Si fa riferimento innanzitutto alla condanna a morte di Tareq Aziz, evidenziando come questa “contribuirà a incrementare l’atmosfera di violenza in Iraq”, e “che l’Iraq necessita urgentemente una riconciliazione nazionale”. Si sottolinea, piuttosto, “l’importanza di arrestare chi viola i diritti umani, uomini politici (o ex politici) compresi, nel rispetto del ruolo della legge”.
La Risoluzione prosegue con una condanna “dei recenti attacchi a cristiani o altre comunità religiose in Iraq, nonché dell’abuso della religione da parte di chi commette questi atti”. Chiede “alle autorità irachene di aumentare drasticamente gli sforzi per la protezione dei cristiani e di altre minoranze vulnerabili, di muoversi contro le azioni di violenza interetnica e di consegnare alla giustizia i perpetratori dei crimini, in accordo con gli standard internazionali”.
Lo scopo di questa risoluzione è far sì che venga riaffermato anche in Iraq il principio della libertà religiosa, che è alla base di tutte le altre libertà e che è alla base di ogni sistema democratico. Questo vuole essere un segnale forte indirizzato al nascente governo iracheno affinché prenda in mano la situazione e ristabilisca il rispetto delle minoranze nella vita civile del paese.
Il testo di questa risoluzione ha nel suo contenuto politico quelle richieste, a livello di diritti umani e principi democratici, che sono le condizioni che l’Ue chiederà per concludere il primo accordo di cooperazione con l’Iraq di cui sono relatore per il Parlamento europeo. Il contenuto di tale accordo, che arriverà in Commissione Affari Esteri nei prossimi giorni, non può ridursi ai soli aspetti economici. Chiederemo quindi con forza il rispetto delle condizioni politiche contenute nella risoluzione che abbiamo appena votato: vogliamo che questa sia un’anticipazione di questi principi.
I cristiani sono purtroppo nell’Iraq di oggi ostaggio di una lotta per il potere iniziata dopo la caduta di Saddam Hussein e, associati all’immagine dell’Occidente, diventano loro stessi il pretesto per le violenze terribili che subiscono e per soprusi come la confisca delle loro proprietà da parte dei loro aggressori.
L’Ue non può rimanere inerme davanti alla carneficina quotidiana perpetrata ai danni della comunità cristiana di tutto l’Iraq. Questo è il senso dell’iniziativa di cui il Partito popolare europeo ha fatto partecipe tutto il Parlamento europeo. Tutto ciò dimostra un fatto positivo, cioè che le istituzioni europee non hanno più imbarazzo nel denunciare le persecuzioni dei cristiani. La comunità internazionale e il Governo iracheno devono mettere in campo azioni concrete fin da subito.
Qualche settimana fa durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, ho purtroppo dovuto constatare personalmente che questo imbarazzo continua a pervadere la comunità internazionale. Qualche giorno fa Angelo Panebianco scriveva sul Corriere della Sera: «La persecuzione dei cristiani non è un tema che sia mai davvero entrato nelle agende dei governi occidentali di Stati Uniti e Europa, sembra non riguardarli. Con tutto ciò che succede nel mondo, paiono pensare governi e opinioni pubbliche, perché dovremmo preoccuparci anche delle disgrazie dei cristiani non occidentali?».
La libertà dei cristiani in ogni parte del mondo deve invece riguardarci da vicino, perché è garanzia di libertà per tutti. Infatti la loro appartenenza a una fede e a una Chiesa universali permette di sfondare lo stretto orizzonte di quel pubblico potere nazionale che si concepisce come totalizzante. Il caso iracheno, ma anche tanti altri casi simili, dimostrano proprio la difficoltà da parte di fondamentalismi e potentati locali a ridurre la presenza dei cristiani al proprio progetto di potere.