Un nuovo Obama?

I risultati delle elezioni di mid term negli Stati Uniti sembrano essere il risultato di un’arrabbiata delusione degli americani

Una premessa doverosa: quelli che seguono sono dei primi commenti basati sui dati grezzi al momento disponibili sulle elezioni di mezza legislatura negli Stati Uniti. Guru e studiosi cominceranno le loro approfondite analisi sulla base di dati più definitivi.

 

Ora come ora, i risultati delle elezioni possono essere sintetizzati con: sono risorti come avevano detto! Il Partito repubblicano è risorto… come aveva detto. Nel momento in cui sto scrivendo, i Repubblicani hanno raggiunto un ampio controllo della Camera dei Rappresentanti e sono solo a pochi voti dal controllo anche del Senato.



È importante non sottovalutare i cambiamenti che questa vittoria comporta nella distribuzione del potere politico a livello sia nazionale che dei singoli stati. Il prossimo candidato repubblicano alla vicepresidenza sarà probabilmente uno, o una, di questi neoeletti.

Comunque, i primi risultati sembrano confermare che la grande preoccupazione degli elettori è la situazione economica, in particolare il problema della disoccupazione. La crisi economica è stato uno dei principali fattori dell’elezione di Barack Obama; è quindi comprensibile che i risultati delle elezioni di mezza legislatura indichino la delusione per ciò che il presidente è stato capace di fare, dando così anche un avvertimento per le prossime elezioni presidenziali del 2012. Si sta discutendo se gli elettori fossero arrabbiati o solo delusi, ma il loro atteggiamento potrebbe forse essere definito di “arrabbiata delusione”.



La maggioranza degli elettori pare avere invece ignorato altri aspetti, quali le accuse a Obama di non essere realmente un americano, di essere un socialista camuffato, o persino un agente filo islamico, tutti argomenti sollevati in alcune fasi della campagna elettorale ed esaltati dalla “responsabile” attenzione a loro dedicata dai media.

D’altro canto, anche l’elezione di George W. Bush non sembra essere stata a suo tempo influenzata più che tanto da simili temi sensazionali, come quando Bush fu accusato, da una parte insensata della sinistra, di essere parte insieme a militari, neocon e grandi società di una cospirazione responsabile dell’attacco terrorista dell’11 settembre del 2001.



A livello nazionale il rifiuto verso personaggi in carica, sia Democratici che Repubblicani, sembra essere più un avvertimento che l’espressione di una posizione filosofica (in alcuni casi addirittura teologica) sul ruolo del governo. Lo scetticismo verso il “big government” è sempre stata una costante nella politica americana, anche quando i suoi sostenitori sono stati eletti per affrontare urgenti situazioni economiche. Gli americani hanno sempre avuto un forte senso del valore della sussidiarietà.

Cosa si può dire circa temi sociali come l’aborto o il matrimonio omosessuale? Per il momento non sembrerebbero rappresentare un nuovo elemento nei risultati delle elezioni, anche se gli elettori pro-life e per la famiglia hanno votato per i Repubblicani. Quando saranno disponibili i risultati definitivi, sarà interessante capire quanti giovani cattolici hanno votato per il Partito Repubblicano solo per questa ragione, e che valenza questi voti hanno avuto nella vittoria elettorale. I cattolici pro-choice e pro-gay dovranno tener presente la caduta di Nancy Pelosi, così come Andrew Cuomo, il nuovo governatore dello stato di New York, dovrebbe procurarsi un consigliere teologico diverso da quello di suo padre Mario, già governatore dello stato.

 

Un altro risultato interessante da analizzare adeguatamente sarà il voto ispanico, o “latino”, perché sembra che i Repubblicani abbiano recuperato parte dei voti che andarono a suo tempo a Obama, malgrado il tono anti-ispanico di qualche influente esponente del partito a proposito di riforma della legge sull’immigrazione. Il Partito Repubblicano ha mostrato un’inaspettata apertura alla diversità, mai apparsa precedentemente, come mostrano l’elezione di un senatore ispanico in Florida, la vittoria di un “latino” come prossimo governatore del New Mexico e l’elezione a governatore della South Carolina di una americana di origine indiana.

 

E il Tea Party? Beh, si è dimostrato molto più rilevante di quanto pensassero i Democratici progressisti, ma il suo futuro dipende da come userà il potere acquisito. I veri protagonisti del cambiamento derivante da queste elezioni saranno i giovani Repubblicani, profondamente conservatori ma realisti, che le hanno vinte e, paradossalmente, gli sperimentati Repubblicani moderati che sono riusciti a sopravvivere. Una decisione che dovranno prendere al più presto è come gestire la impressionante capacità di influenza dimostrata da Sarah Palin.

 

La situazione sembra essere come la descrive David Brooks sul New York Times: un secondo matrimonio per politici seri, cioè meno estasi e più realismo.

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