Ieri Silvio Berlusconi, durante la seconda direzione nazionale del popolo della libertà, ha rilanciato le ambizioni del Governo per il prossimo futuro. Si tratta senza dubbio di una buona notizia, anche se, il clima di incertezza e di stallo politico al quale siamo ormai da un po’ di tempo abituati, continua a pervadere le stanze del potere e i pensieri di molti italiani. E’ bene quindi cercare di fare luce soprattutto su questo punto.
Il vero motivo per cui il paese si trova in una fase di blocco politico-istituzionale sta nella scelta pregiudiziale di tutte le opposizioni di non voler concludere nessun tipo di accordo con il Presidente Berlusconi, il quale probabilmente non ha la forza di realizzare le riforme più importanti. Non possiamo tuttavia dimenticare che il Governo ha contribuito ad una tenuta complessiva del sistema paese in circostanze molto difficili.
In realtà un accordo con Berlusconi converrebbe a tutte le opposizioni, dando per scontato che non sono nelle condizioni di produrre una reale alternativa. Questo accordo aiuterebbe da un lato a deideologizzare la sinistra italiana e sul piano del governo del paese, potrebbe aprire l’opportunità di alcune riforme condivise essenziali per il nostro futuro. A più riprese ho avuto l’occasione di interloquire su questi argomenti con gli stessi Bersani e D’Alema. Ma il loro no su una possibile intesa col Cavaliere nell’interesse dell’Italia rimane fermo.
Come pure appare non negoziabile la posizione sia di Fini che di Casini, oggi indisponibili a garantire i numeri in parlamento: non quelli necessari per l’ordinaria amministrazione, bensì quelli indispensabili per le grandi riforme. Anche in questo caso mi parrebbe conveniente per i leader di UDC e FLI rientrare in sintonia con il gran corpo dell’elettorato PDL. Sta di fatto comunque che l’obiettivo dell’isolamento di Berlusconi è tenacemente perseguito da tanti senza però la forza di mettere sul piatto un’alternativa affascinante.
A complicare le cose lo smarrimento di elettori sempre più ostaggio di una comunicazione intenzionata, attraverso una girandola di scandali e miserie, a rafforzare il partito dell’astensione, della demotivazione quando non addirittura quello della rabbia. Dove guardare quindi indipendentemente dal fatto che la pallina dei risultati elettorali possa fermarsi su questa o su quella parte politica in un contesto, quello italiano, che sembra sempre più simile a una roulette piuttosto che a un dibattito di idee dove si confrontano interessi legittimi?
Mi permetto di proporre due suggerimenti che nascono dall’esperienza di questi anni e che potrebbero rappresentare una trincea su cui lavorare. Primo. Smettiamo di considerare un tabù l’unità politica dei cattolici: non serve per rifare la DC, ma perché cresca un fronte di persone che abbiano più a cuore di unire invece che dividere in un paese tanto ferito.
Secondo. Siamo realisti! Non ha senso cominciare a discutere del dopo Berlusconi in presenza di un Presidente del Consiglio che non ha nessuna intenzione di mollare: ma Berlusconi come non è la causa di tutti i mali non è neanche la soluzione di tutti i problemi.
E le soluzioni si trovano imponendo nell’agenda politica italiana proposte realmente significative: avevamo consegnato al PDL la bandiera per esempio della libertà di educazione. Che fine ha fatto? Invece che vagheggiare la nascita di nuovi ed improbabili contenitori politici concentriamoci sul tentativo di dare un’anima, o meglio, di far venir fuori l’anima di quello che dovrebbe essere il più grande partito dei moderati italiani da vent’anni a questa parte.