Sotto l’urgenza di una campagna elettorale sempre più vicina, il tema della famiglia risale imperiosamente nell’agenda della politica. È successo ieri alla Conferenza in corso a Milano, aperta con i messaggi dell’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi e del presidente Napolitano.
I lavori della Conferenza sono stati guidati dal sottosegretario Carlo Giovanardi, che si è augurato che dalla stessa esca la base del Piano nazionale di politiche per la famiglia, e hanno visto la presenza del ministro Sacconi, che invece ha voluto sottolineare le differenze profonde sul tema famiglia tra la cultura del Pdl e quella dei futuristi di Fini espresse domenica dalla convention umbra («hanno messo in discussione il primato pubblico della famiglia naturale fondata sul matrimonio e orientata alla procreazione», ha sottolineato polemicamente Sacconi).
Il piano annunciato da Giovanardi si muove su tre coordinate: la riforma fiscale, la conciliazione tra tempi di vita e quelli di lavoro e la necessità di un nuovo quadro delle competenze dello Stato nel settore della Famiglia. Sul primo punto in particolare si sta discutendo di due strumenti nuovi: le Deduzioni familiari corrette (deduzioni per ogni figlio a carico) e il Quoziente familiare pesato (cioè un quoziente familiare che a differenza di quello francese produce meno disparità per i meno abbienti).
Tutte buone idee, come ha sottolineato il Forum delle Associazioni famigliari. C’è da sorvegliare che non restino solo un ennesimo annuncio. La questione vera è che non ci si può illudere di inserire la famiglia come priorità senza che questo modifichi la scaletta di tutte le altre priorità. Sia per un problema molto concreto di risorse. Sia per un problema, solo apparentemente meno concreto, di visione della società del futuro.
Le politiche della famiglia, infatti, si vanno a scontrare con tanti interessi consolidati che nessuno ha il coraggio e la forza di andare a intaccare. Qualche tempo fa Luigi Campiglio, economista e da sempre fautore del quoziente famigliare, aveva lanciato una piccola provocazione: distribuire diversamente il peso del voto elettorale, assegnando ai genitori anche il voto dei minorenni. Il ragionamento era semplice: la macchina della politica, chiamata alla verifica elettorale ogni cinque anni, non può ragionare a lunga gittata. E così finisce sempre con l’accondiscendere agli interessi di chi mette le scheda nell’urna. E in paese in cui gli equilibri demografici sono sempre più spostati verso le fasce di popolazione anziana, non c’è spazio dare ascolto alle ragioni di chi non vota.
Ora lo squilibrio si sta facendo insostenibile, in una prospettiva neanche molto lontana. E quindi c’è l’urgenza di sostenere le famiglie innanzitutto come soggetto centrale dell’economia in Italia: non più in quanto soggetto “ornamentale” dal punto di vista dei riferimenti valoriali, ma, come spiega sempre Campiglio in quanto «unità decisionale economica fondamentale, fattore che può spingere realmente la crescita».
Non è quindi primariamente una questione di valori, ma di efficacia: ad esempio, se uno non crede alla famiglia come valore può sempre misurare l’efficacia di una politica fiscale dedicata, come quella che è stata ventilata ieri alla Conferenza di Milano. E oltre l’efficacia ne potrà misurare finalmente anche l’equità: fattore non meno importante, che rende giustizia a un soggetto come la famiglia, vera cenerentola del sistema Italia.