Stiamo vivendo il tempo di Avvento che ci porta al Natale. L’Avvento è anzitutto un tempo liturgico, ma per sua natura investe tre diverse dimensioni temporali: il presente, il passato e il futuro. Questo tempo tra passato, presente e futuro, che San Bernardo chiama «il triplice Avvento», può avere ancora molto da dire a ciascuno di noi oggi, anche a chi distrattamente si affanna nella frenesia delle luci di Natale.



Trattandosi della storia di una nascita, il riferimento al passato è fondamentale. Non possiamo, infatti, pensare a Gesù che viene e che verrà, se non partendo dalla considerazione del fatto che è già venuto. Colui che invochiamo e che attendiamo è già presente. La venuta di Cristo non è un mito o un sogno, ma un evento accaduto e giunto fino a noi nella sua storicità. Per questo la prima dimensione fondamentale che l’Avvento ci invita a vivere è la memoria, la storia passata che si rende presente.



Nel rapporto con il passato si possono percorrere due strade sbagliate. Molti uomini vivono la vita con la nostalgia del passato, sottraendosi al presente, rinunciando di fatto a vivere. Il passato è un evento inefficace, perduto, che non è più capace di cambiare il presente. Il Natale stesso può diventare un pio ricordo, una bella favola, ultimamente inefficace.

Una seconda negazione della memoria è chiudersi in una visione negativa del passato. La storia si riempie di coloro che non ci hanno amato, che non ci hanno capito, che ci hanno ingannato. Il passato è vissuto come angoscia. Diventa impossibile perdonare. Nel primo caso il cristianesimo rimane una bella fiaba delle origini, nel secondo una dottrina di fratellanza che non riesce a incidere sul rapporto con il nostro vissuto.



L’Avvento ci fa guardare anche al futuro. Vivendo, sorgono in noi molte immagini riguardo il futuro, attraverso le quali vorremmo come prevederlo. È necessario che le nostre immagini e le nostre attese, il nostro desiderio di Cristo, si purifichino. Potremmo, infatti, cadere nell’errore di amare più le immagini che ci facciamo di Dio che Dio stesso.

 

Noi non sappiamo quando Cristo tornerà, o meglio, quando verrà l’ultima volta. Sappiamo una cosa: che la sua ultima venuta è il compimento delle sue continue venute presenti. Sarà il compimento della storia. La storia, infatti, si compirà quando Dio sarà tutto in tutti, quando il Figlio consegnerà al Padre il mondo in lui ricapitolato.

 

Dio non sta ritardando la sua venuta, ma dà all’uomo il tempo per convertirsi a lui. Il tempo ha dunque un peso. Non solo Dio ha creato il tempo, ma è entrato nel tempo, lo ha assunto come forma del suo rapporto con noi. Il Mistero non mi raggiunge se non attraverso il tempo. Esso è innanzitutto il sacramento della contemporaneità di Cristo, della sua vicinanza alla mia vita. Per questo è fatto di un’infinità di istanti presenti, attraverso i quali Cristo mi raggiunge continuamente. Egli è l’amato nascosto, che si rivela a noi in mille modi.

In sintesi: il fondamento storico dà a questa nostra attesa, che riguarda il presente e il futuro, una sua veridicità, toglie ogni mitologia, ogni sentimentalismo spiritualistico e ci permette di assumere la posizione vera verso questo tempo. L’Avvento non è solo una parte del nostro tempo, ma ne è una dimensione permanente. L’attesa costituisce l’umano nella sua dimensione più profonda e più vera.

 

Il mio augurio per questo tempo di Avvento e per il vicino Natale è in un pensiero di sant’Agostino: «Se abbiamo un piccolo sacchetto potrà entrarvi poca cosa; se abbiamo un grande sacchetto potrà entrarvi molto». Dobbiamo dilatare gli spazi del nostro desiderio, in modo che possa entrarvi Cristo stesso e, con lui, tutto ciò che ha preparato per noi.