Nel numero della scorsa settimana di Time Magazine, è apparso un articolo molto interessante di Peter Beinart, professore associato di giornalismo e scienze politiche alla City University di New York e Senior Fellow della New American Foundation.

Nel 2000, quando era direttore dell’influente rivista The New Republic, Beinart partecipò al Meeting di Rimini e scrisse un articolo per Tracce in cui affermava che un evento come il Meeting avrebbe avuto un grande impatto culturale negli Stati Uniti.

In questo articolo (“Perché Washington si è divisa in nodi”), Beinart offre un’analisi della pericolosa paralisi politica che affligge gli Stati Uniti in questo momento. Secondo Beinart, l’origine di questa paralisi risiede in ciò che lui chiama «la morte dei moderati». Questo Paese, dice, è preso in un «circolo vizioso» che ha le sue radici nella «grande riorganizzazione della politica americana avvenuta durante gli ultimi quarant’anni».

Fino al 1969, scrive, sia i Repubblicani che i Democratici, malgrado le differenze tra loro su concrete materie di interesse nazionale, costituivano un unico establishment politico che governava la nazione. Questa situazione ha iniziato a sfaldarsi con i cambiamenti sociali nei decenni ’60 e ’70. I Democratici liberal del Nord hanno iniziato a identificare la loro politica con cause quali i diritti civili, l’aborto, la protezione dell’ambiente, unendole a una politica estera meno aggressiva che minimizzava i pericoli del comunismo internazionale.

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Come risultato, Democratici conservatori del Sud hanno cominciato a passare al Partito Repubblicano. Quando il Partito Repubblicano ha cominciato a sua volta a spostarsi verso destra, i suoi progressisti al Nord sono diventati Democratici. 

 

A questo punto il conflitto è diventato tra partiti e regioni. Se un partito si spostava a sinistra trovava sempre più difficile rimanere il potere nelle regioni più conservatrici, e la stessa cosa succedeva nelle parti più progressiste del Paese per un partito che andasse verso destra.

 

Di conseguenza, «partito, regione e ideologia diventavano sempre più allineate». Le conseguenze di questo allineamento si sono immediatamente fatte sentire a Washington, «dove la politica divenne sempre meno una partita da cubo di Rubik e sempre più una partita di shirts vs. skins» (camicie contro pelli: il riferimento è a quelle partite informali dove i membri delle squadre si distinguono per il fatto di portare o meno la camicia).

 

Il primo presidente eletto in questa nuova situazione, il primo presidente “camicia e pelle” è stato Ronald Reagan, ideologicamente un conservatore. Tuttavia, è con l’elezione di Bill Clinton che il “circolo vizioso” inizia a fare effetto. Come scrive Beinart, in quel periodo «i Repubblicani nel congresso si resero conto che avrebbero potuto usare la radicalizzazione politica per contrastare il governo (utilizzando il filibustering come arma paralizzante) e gli errori del governo per vincere le elezioni. Così la politica del circolo vizioso ha cominciato a diventare una forma d’arte».

 

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La chiave della politica del circolo vizioso è quindi: «Quando i partiti sono polarizzati, è facile impedire che qualcosa venga realizzato. Se non si fa niente, la gente si rivolta contro il governo. Se si è il partito non al governo, il partito che attacca il governo, si vince».

 

Nel suo articolo, Beinart avanza una serie di proposte per rompere il circolo vizioso e per sostituire il conflitto ideologico con una nuova forma del vecchio metodo basato sul compromesso pragmatico per risolvere i bisogni più urgenti del Paese. Non ho la competenza per giudicare le proposte di Beinart, ma mi chiedo: perché il vecchio metodo di compromessi moderati è andato a pezzi? È possibile che contenesse esso stesso i semi per la sua distruzione?

 

La politica è l’arte del compromesso, tanto più quando si tratta di governare un Paese così differenziato al suo interno come gli Stati Uniti. Tuttavia, su cosa si possono costruire questi compromessi?

 

Le cause che hanno iniziato a definire l’identità del Partito Democratico sono state portate avanti non come temi politici, ma come impegni etici assoluti. Alcune, come il diritto all’aborto, hanno rotto con la tradizione morale giudaico-cristiana, che sosteneva la politica americana del compromesso. Fino a quando una nuova tradizione morale non renderà possibili coalizioni in grado di resistere alle attuali divisioni ideologiche, la politica del circolo vizioso continuerà a tentare i partiti politici e i conflitti verranno considerati come uno scontro tra diritti inalienabili.

 

Su cosa potrebbe essere fondata una simile nuova tradizione morale? È il problema discusso nel famoso dialogo Ratzinger – Habermas (vedi Ragione e Fede in dialogo), ovvero la costruzione di una “nuova laicità”, come l’ha chiamata il Cardinale Angelo Scola, applicata agli Stati Uniti d’America.