Forse questa sarà la Quaresima più dura di Benedetto XVI. All’amara verifica di quanto detto in quella storica Via Crucis del 2005 (“Quanta sporcizia nella Chiesa!”) si aggiunge una disgustosa operazione di caccia cui partecipano da diverse angolazioni la stampa laica, i dissidenti tipo Küng e le lobby dei nuovi diritti. Questi sono giorni di piombo e furore nei mezzi di comunicazione e Pietro è di nuovo in mezzo alla tempesta.
Con una precisione da orologiaio, escono alla ribalta alcuni casi perfettamente calibrati come le bombe che inseguono il loro obiettivo. E in attesa della lettera ai cattolici d’Irlanda, a seguito delle terribili denunce del Dossier Ryan, la stampa tira fuori vecchie storie in Olanda, Germania e Austria, molte delle quali giudicate e archiviate venti o trenta anni fa. Materiale infiammabile per costruire una storia tanto sporca quanto falsa.
Si cerca di fissare nell’immaginario collettivo la figura di una Chiesa che non è più solo un corpo estraneo nella società postmoderna, ma una sorta di mostro la cui proposta morale e la cui disciplina interna portano i propri membri verso l’anormalità e gli abusi. Sì, questa è la Chiesa che ha educato l’Europa al riconoscimento della dignità umana, all’amore per il lavoro, alla letteratura e al canto, è quella che ha inventato gli ospedali e le università, quella che ha forgiato il diritto e ha limitato l’assolutismo… ma questo ora non importa. E con la stessa gioia con cui alcuni si danno da fare per rimuovere i suoi simboli dagli spazi pubblici, altri si stanno preparando a demolire la sua immagine.
Ho già sentito la domanda: ma è vero o no ciò che ci viene detto? Vediamo i dati. In Germania, per esempio, dei 210.000 casi di abusi sui minori denunciati dal 1995, 94 hanno a che fare con la Chiesa. Certo, 94 casi nelle parrocchie e nelle scuole sono un’enormità, sono una ferita nel corpo della Chiesa e sollevano gravissime domande. È anche vero che dai membri della Chiesa, specialmente da quelli che hanno il compito di educare, ci si aspetta sempre qualcosa di superiore alla media, perché a chi è stato dato molto è chiesto altrettanto. Ma diciamo anche molto chiariamente che la Chiesa non vive nello spazio, al di fuori della storia. È costituita da uomini deboli e peccatori, il suo corpo è assalito dalle correnti culturali del tempo e non mancano momenti in cui la coscienza di molti dei suoi membri è determinata più dal mondo che dalla viva tradizione che hanno ricevuto.
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L’orrore di questi casi non può essere minimizzato, e per questo Benedetto XVI (fin da quando era Prefetto della Dottrina della Fede) ha messo in moto una formidabile opera di “risanamento” i cui frutti sono ancora misurabili. Ma quando la grande stampa fabbrica prime pagine utilizzando i 94 casi e tace miserabilmente sugli altri 200.000, siamo di fronte a una ripugnante operazione che deve essere denunciata. Le cifre di questa catastrofe ci parlano di una malattia morale del nostro tempo e chiedono di guardare non al celibato dei preti cattolici, ma alla rivoluzione sessuale del ‘68, al relativismo e alla perdita di senso della vita che affligge le società occidentali.
Il sociologo Massimo Introvigne ha pubblicato sul tema un eccellente articolo in cui spiega che l’uragano mediatico di queste settimane risponde a quello che è definito come un fenomeno di “panico morale”, perfettamente teleguidato a distanza da alcuni centri di potere. Secondo la sua spiegazione, si tratta di una “ipercostruzione sociale”, destinata a creare una figura predefinita (il mostro di cui parlavamo all’inizio) con materiali frammentari e sparsi nel tempo.
Esiste certamente un problema reale: sacerdoti (sempre troppi) che hanno compiuto il nefando crimine di abuso sui minori. Ma le dimensioni, i tempi e il contesto storico sono sistematicamente alterati o taciuti. Nessuno mette questi numeri della vergogna ecclesiale in rapporto con la totalità brutale del problema; nessuno dice, per esempio, che negli Stati Uniti erano cinque volte più alti i casi che vedevano imputati pastori di comunità protestanti, o che nello stesso periodo in cui in quel paese erano stati condannati cento sacerdoti cattolici, sono stati cinquemila i professori di ginnastica e gli allenatori sportivi che hanno subito la stessa condanna. E nessuno ha chiesto spiegazioni alla Federazione di basket!
Infine, il dato più agghiacciante: l’area in cui vi sono maggiori abusi sessuali sui minori è la famiglia (qui accadono i due terzi di tutti i casi registrati). Quindi, cosa c’entra il celibato in tutto questo? Lasciamo da parte le vecchie ossessioni di Küng, la sua crociata arcaica per svuotare la Chiesa dei suoi nervi e della sua sostanza. Ma dai giornali laici, così puntigliosi e scientifici, ci si aspetterebbe un po’ più di obiettività.
La settimana scorsa il “panico morale” teleguidato ha colpito per bene il suo obiettivo. La caccia si è concentrata su una preda più grande, lo stesso Benedetto XVI, il Papa che ha aperto le finestre e ha stabilito una serie di regole per la massima trasparenza, la cooperazione con le autorità e, soprattutto, la cura delle vittime. È stato il Papa che negli Stati Uniti e in Australia si è trovato faccia a faccia con coloro che avevano subito questa terribile esperienza, per chieder loro perdono a nome di una Chiesa di cui loro sono membri feriti, e meritano per questo una preferenza totale.
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Le insinuazioni su Papa Ratzinger in questa materia meriterebbero semplicemente disprezzo se non fosse per il fatto che indicano qualcosa di importante su questo momento storico. C’è un potere culturale, politico e mediatico che ha messo Pietro nel mirino, senza vergogna e senza imbarazzo. Certamente non è la prima volta che succede, e conviene ricordarlo. Ma il furore e le armi questa volta sono, se non altro, più insidiose di prima.
Si può immaginare la coscienza lucida con cui Benedetto XVI contempla questa ondata, e il dolore conseguente che lo accompagna in questo momento drammatico in cui egli stesso è diventato, dentro la Chiesa, il punto fisico che attrae un odio irrazionale, ma non sconosciuto, perché Gesù ce ne ha già parlato nel Vangelo. Non so se con una certa ironia, nell’udienza di mercoledì scorso ci ha fatto vedere come vuole esercitare il proprio ministero in questo momento di paura, reazioni viscerali e vacillamenti vari.
Lo ha fatto “specchiandosi” in uno dei suoi maestri più amati, San Bonaventura: “Per San Bonaventura governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto pensare e pregare […].Il suo contatto intimo con Cristo ha accompagnato sempre il suo lavoro di Ministro Generale e perciò ha composto una serie di scritti teologico-mistici, che esprimono l’animo del suo governo e manifestano l’intenzione di […] [governare] non solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime, orientando a Cristo”. In mezzo alla tempesta, questa è la decisione umile e ferma di Benedetto XVI.