«Se la corruzione è un grave danno dal punto di vista materiale e un enorme costo per la crescita economica, ancora più negativi sono i suoi effetti sui beni immateriali, legati più strettamente alla dimensione qualitativa e umana della vita sociale» (Pont. Cons. Giustizia e Pace, Lotta alla corruzione, 4).

Leggendo i giornali di questi ultimi giorni la prima impressione è quella di un’enorme confusione. Il lettore normale, come penso di essere, non riesce a raccapezzarsi. Che cosa è accaduto? Che cosa sta accadendo? Siamo di fronte a qualcosa di nuovo o semplicemente al ripetersi di un vizio antico e inveterato?

Dobbiamo uscire da ogni visione moralistica ed entrare in un autentico giudizio morale. La storia dei popoli, da quando la conosciamo, è segnata dalla corruzione. Sant’Agostino parlava di magna latrocinia: «Se togliamo il fondamento della giustizia, che cosa sono gli stati se non delle grandi associazioni a delinquere?» (De civ. Dei, 4,4).

Eppure qualcosa di nuovo e di tragico sta accadendo sotto i nostri occhi. Non tanto la presenza del male, che caratterizza la vita di ogni uomo in ogni tempo. È nuovo il disorientamento che regna nel cuore di tanti uomini. Qual è la strada verso una vita buona? Quale la via verso rapporti tra gli uomini che diano la soddisfazione di vivere sulla terra?

Viviamo infatti in un’epoca in cui dominano l’ansia e la paura. L’ansia di non potere avere a sufficienza, la paura che venga la morte a portarci via tutto. Tutto deve essere ottenuto in un tempo breve perché non c’è altro tempo. Del doman non v’è certezza scriveva Lorenzo De’ Medici all’inizio dell’età moderna. L’incertezza nei nostri tempi porta taluni a un’avidità insaziabile che acceca.

L’insicurezza riguardo al proprio futuro è tipica delle età in cui viene meno la speranza. La crisi della natalità che caratterizza il nostro Occidente è un indice tragico di questa incapacità a guardare oltre la propria individualità e oltre l’attimo presente. Non ci sono più figli a cui tramandare qualcosa, non c’è una storia personale da salvare.

Anche la povertà delle esperienze affettive, che muoiono presto e hanno bisogno subito di essere sostituite da altre esperienze, porta le persone a rischiare oltre il ragionevole pur di avere qualcosa tra le mani che giustifichi il presente. Ci si attacca al denaro come all’unica sicurezza. Già Dante ricordava che superbia invidia ed avarizia sono / le tre faville ch’ hanno i cuori accesi (Inf., VI). Abbiamo spento troppi fuochi. I fuochi della carità, della bellezza, della gioia di stare assieme, di curvarci sugli altri, di godere di una canzone, di un tramonto, di un bacio. Il freddo che ne è nato porta a rischi spaventosi. Pur di avere qualcosa da stringere.

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Dobbiamo tornare a riscoprire il valore sociale delle virtù cristiane, buone per chi crede e per chi non crede, capaci di fondare una convivenza ragionevolmente umana. Se Dio sparisce dall’orizzonte dell’uomo, ognuno può credere di essere dio. All’euforia succede la depressione. Le civiltà si chiudono così su se stesse e perdono ogni creatività.

 

La sfida di oggi è assolutamente radicale. Ci porta alle radici delle questioni, ci fa vedere il percorso semplice che può aiutare a scrivere una strada di rinascita. Primo: la vita è un dono positivo per chiunque, malato o sano, povero o ricco, colto o ignorante e non va sprecata. Secondo: da soli non si va da nessuna parte. Imparare ad accogliere e ad amare è una strada essenziale per amare se stessi. Terzo: quando scopriamo di essere perdonati, diventiamo anche capaci di costruire qualcosa che rimane e sa coinvolgere altre persone.

 

Volere il bene degli altri è la strada principale per voler bene a se stessi. Badare soltanto al proprio arricchimento porta inesorabilmente all’autodistruzione e a un male generalizzato.