A cosa serve l’Europa? Questa è la domanda che a tutti i livelli ci si pone spesso e volentieri quando capita di avere a che fare con le istituzioni europee. Altrettanto spesso si finisce con il rispondere che l’Europa non serve a nulla, che l’Europa è lontana, che potremmo farne volentieri a meno. Di fronte ad un’emergenza quasi epocale come quella che si sta verificando in Grecia con una crisi economico-finanziaria senza precedenti, nella quale il debito pubblico è volato a 300 miliardi di euro, ossia al 113% del Pil e potrebbe salire al 120% entro il 2010, la risposta alla domanda va cercata alla luce di uno dei principi che da sempre ha contraddistinto il progetto politico chiamato Europa unita: la solidarietà.
A cosa serve cioè oggi l’Europa se non ad aiutare la Grecia? Non avrebbe alcun senso il nostro stare insieme se l’emergenza greca non fosse l’emergenza di tutti i Governi e di tutti i cittadini europei. Da più di un mese ormai si discute incessantemente su quali mezzi utilizzare per risolvere la crisi e sulle priorità da individuare. E’ un dibattito che si sta pericolosamente dilungando perché troppo spesso utilizzato a piacimento per un personale tornaconto politico. Anche il dibattito di mercoledì scorso al parlamento europeo, ha mostrato purtroppo che molti esponenti politici che dicono di voler combattere la speculazione finanziaria, la sostituiscono con la speculazione politica, il modo migliore per gettare l’Europa nel baratro.
Perché attaccare un altro paese membro, in questo caso la Germania e la Cancelliera Merkel, solo perchè ci ricordano che la politica della solidarietà deve andare di pari passo con la politica della responsabilità? Questo significa non aver compreso affatto l’eccezionalità di un momento in cui la sorte degli amici greci è legata in maniera indissolubile alla bontà e all’efficacia dell’Unione Europea. E’ un banco di prova decisivo per il futuro. E’ il momento in cui la Commissione europea deve avanzare pretese ambiziose nei confronti degli Stati membri e imporre loro misure che alla lunga possano tradurre il senso del progetto europeo. Rigore e solidarietà devono essere le parole d’ordine. Ma per ripartire davvero serve un’altra consapevolezza.
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L’Europa, ma soprattutto gli europei, storicamente, nei periodi di difficoltà sanno tirare fuori il meglio in termini di creatività, di talento e di solidarietà. Oggi l’Europa conserva ancora punti di eccellenza mondiale che possono essere presi da esempio per strategie a livello comunitario. Penso ad alcune regioni come la Lombardia, ma penso anche alle migliaia di piccole e grandi aziende, o al nostro settore agricolo, o alla nostra tradizione marittima.
Un’Europa che voglia essere competitiva e moderna non può che partire dalla valorizzazione della risorsa che la contraddistingue nel mondo: il capitale umano. Un tempo l’Europa era la più grande società della conoscenza e questo la faceva essere anche la più grande economia della conoscenza. Da un po’ di tempo non è più così.
Tutto il percorso che con pazienza e umiltà stiamo cercando di disegnare per dare nuova speranza per il futuro ai nostri cittadini ci porterà a risultati soddisfacenti soltanto se davvero sarà un percorso comune. Se nessuno, oggi di fronte alla crisi greca, domani di fronte ad altri mille ostacoli, si sottrarrà dalle proprie responsabilità. Se tutti quanti, governi, cittadini e istituzioni europee, guarderemo cioè nella stessa direzione, quella della ricerca del bene comune, in cui l’uomo e il suo desiderio di compimento costituiscano l’unico orizzonte possibile.