Non paura, ma perdono

L'attacco del New York Times contro il Papa ha una "regia" culturale, in un mondo dove la Chiesa cattolica e la sua opera di testimonianza danno sempre più fastidio

Non importa quali altri importanti argomenti potessero attrarre l’attenzione dei media laici negli Stati Uniti la settimana scorsa, non vi è dubbio che lo scandalo degli abusi sessuali da parte di preti e il ruolo del Papa siano stati ogni giorno in cima alle notizie e alle cronache.

La “guida” nel perseguire questo argomento e dare lo schema con cui i media lo hanno affrontato è stato senz’altro The New York Times, anche se sarebbe sbagliato vedervi semplicemente la prova della ostilità del Times verso la Chiesa cattolica.

Molti cattolici, inclusi cattolici “conservatori e ultraortodossi” sono veramente scandalizzati dalla sorprendente ampiezza dei crimini commessi e non si sentono soddisfatti dal modo in cui i vescovi hanno trattato queste vicende. Molti cattolici mi hanno detto che The New York Times e i media stanno facendo il loro mestiere ed è fuori tema porsi il problema delle loro motivazioni.  

Uno degli articoli, secondo me, più utili per capire cosa è successo è apparso su The New York Times domenica, 28 marzo, sulla prima pagina della sezione “Week in Review”. Nell’articolo (In Vaticano, alle prese con il mondo) di Frank Bruni, si sostiene che “la fondamentale e deliberata separazione della Chiesa dalla società civile, per come essa considera la sua missione, protegge se stessa e interpreta il comportamento umano, spiega parecchio della risposta, o della mancata risposta, dei suoi leader alla crisi provocata dagli abusi su minori”. La tesi di Bruni è che l’origine delle modalità di risposta della Chiesa è “dovuta in larga parte al timore della persecuzione, radicato nella stessa genesi della Chiesa.”  

Da dove scaturisce questa paura della persecuzione? Secondo Bruni “è sostenuta da gran parte della sua storia ed evocata dal suo stesso simbolo: la crocifissione di Cristo”. Finalmente qualcuno nei media laici, nientemeno che sul New York Times, si rende conto che Gesù Cristo può avere qualcosa a che fare con il modo in cui la Chiesa risponde agli scandali provocati dal comportamento dei suoi membri, compresi i suoi capi.

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Questo timore della persecuzione ispirato da come i Vangeli interpretano la morte di Gesù, scrive Bruni, porta con sé “una risposta decisamente non laica alle malefatte che hanno portato a una ripetizione degli abusi. Nel mondo laico, l’abuso di minori è definito un reato e un accorato chiedere scusa non fa evitare il carcere. Nella Chiesa cattolica, tutto ciò viene trattato come peccato, da confessare e poi essere perdonato, per la grazia di Dio. La penitenza può ben sostituire la punizione”.

 

Il resto dell’articolo sviluppa questo punto, ma per il momento può bastare. Ciò che voglio sottolineare è che la relazione tra Chiesa e mondo è molto legata alla attuale crisi; il che mi riporta al 1975, quando lo stesso argomento fu molto discusso sui media laici. Ho in mente la cosiddetta “Dichiarazione Hartford”, cioè le conclusioni di un convegno tenuto alla Hartford Seminary Foundation nel gennaio di quell’anno. Il documento discusso dai partecipanti al convegno è stato fatto circolare per circa un anno dagli organizzatori della riunione, cui parteciparono diciotto persone, tra cui studiosi, pastori e esponenti di diverse tradizioni e concezioni teologiche, e cui altre sette inviarono loro commenti.

 

Il testo finale è nella forma di tredici “proposizioni” respinte in quanto incompatibili con la fede cristiana e relative al rapporto Chiesa-mondo. Il testo completo è disponibile in internet, qui vorrei solo sottolineare alcuni temi particolarmente pertinenti all’attuale crisi:  

 

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Tema 1: Il pensiero moderno è superiore a tutte le forme passate di comprensione della realtà ed è perciò cogente per la fede e la vita cristiana. 

 

Tema 2: Le affermazioni religiose non hanno nulla a che fare con un discorso ragionevole.

 

Tema 4: Gesù può essere compreso solo in rapporto ai modelli contemporanei di umanità.

 

Tema 7: Dato che ciò che è umano è buono, il male può essere correttamente considerato una mancata realizzazione del potenziale umano.

 

Tema 10: Il mondo deve dettare l’agenda alla Chiesa

 

Tema 13: La questione della speranza dopo la morte è irrilevante o al massimo marginale nella concezione cristiana del compimento dell’uomo.

 

Quanto riportato dovrebbe essere sufficiente per valutare il tono della dichiarazione e la sua importanza per i punti sollevati nell’articolo di Bruni. Un aggiornamento della Dichiarazione Hartford che consideri le opinioni attuali sul rapporto Chiesa-mondo sarebbe molto utile. Ovviamente, questo è quanto Papa Benedetto XVI sta facendo dal giorno della sua elezione. Forse il documento “Più grande del peccato” rilasciato da Comunione e Liberazione può essere usato come base di discussione.

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