Martedì è esplosa l’indignazione. Giornalisti e politici riuniti, popolo accalorato, commenti e parole roboanti, iperboliche. Costituzione violata. Evocazioni della Birmania, della Romania di Ceausescu, di Mussolini, dei talebani. Roba che “ciò che accade in Irak non accade in Italia” (nel senso che qua è peggio). Martedì è stata resa nota la sentenza sul caso “Why Not”: il fantascientifico castello costruito dall’ineffabile pm De Magistris, poi premiato con l’Europarlamento, si è afflosciato in un istante.



Succede la stessa cosa quando mettono le bombe sotto gli ecomostri, un’esplosione controllata e bum, in pochi secondi viene giù tutto, dell’orripilante edificio partorito da architetti impazziti e voraci palazzinari non restano che macerie. Ecco l’evento di martedì.

Una inchiesta sensazionale, imputati a frotte, reati sesquipedali, fantastilioni rubati, truffe e imbrogli naturalmente ai danni della povera Unione Europea, associazioni massoniche e religiose insieme, diluvio di intercettazioni, ministro dimesso, governo caduto, guerra punica tra le procure, giornalisti sguazzanti tra tv e giornali desiderosi di vedere rotolare la testa di Tonino Saladino (La Stampa era riuscita a dedicare una pagina intera al fatto che avesse tanti nomi importanti sulla sua rubrica telefonica, per non parlare di Annozero), prototipo dell’imputato italiano di inizio millennio: cattolico militante, calabrese che aveva scelto di restare a vivere in una terra dove “o sei ‘ndrangheta o sei politica o sei un e in pericolo”, attivo fin troppo nelle relazioni pubbliche, moltiplicatore di posti di lavoro, un po’ rodomonte un po’ donchisciotte.



Per mesi esibito come un trofeo di guerra, picconato lui e la sua famiglia, è stato alla fine condannato per un concorso in abuso di atti d’ufficio (peraltro il reato come tale si applica a pubblici ufficiali e Saladino non lo è e comunque ricorrerà in appello), e i suoi accusatori sono stati trasformati in accusati dal giudice. Una barzelletta. Costata a noi cittadini tra i 5 e i 9 milioni di euro.

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C’è di che indignarsi, no? Una vicenda del genere non mancherebbe di argomenti, dalle vite devastate dei singoli alla correttezza delle inchieste, dal ruolo dell’informazione alla realtà della Calabria, senza contare poi tutti gli aspetti politico-istituzionali. L’oggetto della rabbia del martedì era invece la chiusura dei talk show e il trasloco del dibattito elettorale alle noiosissime tribune tv.



D’accordo, la regola adottata dalla Commissione di Vigilanza (su proposta radicale, un’altra tragicommedia per il Pd che ha candidato la Bonino) è surreale, ma via, benedetti superconduttori del video, possibile che non si riesca a mettere su uno straccio di programma senza i politici? Non poteva essere una gustosa replica alle mattane parlamentari? Da stasera e per un mese niente leader o portaborse di partito, niente senatori né consiglieri comunali!

 

 

Affronteremo il caso Saladino da una prospettiva nuova, quella del giudice del tribunale e non quella del pluridecorato ex pm. Oppure ci domanderemo perché tenere in galera Silvio Scaglia (tema toccato benissimo da ilsussidiario.net  di mercoledì). O di certi processi per pedofilia nei quali testimoni d’accusa dichiarano che “forse” c’è stato un bacio proprio lì e in compenso non ricordano giorno mese stagione anno dell’abuso “forse” subito.

E parleremo del dodicesimo suicidio in carcere da inizio 2010. E perché no, di cosa spinge un imprenditore ad ammazzarsi piuttosto che affrontare la vergogna del fallimento davanti ai suoi dipendenti. Del Cile e di Haiti. Di Mourinho e degli ogm, della depressione e delle neuroscienze, di Caravaggio, degli immigrati che ce la fanno, della ricerca di Dio. Discuteremo seriamente del lanciatissimo e deludentissimo film “Genitori e figli” senza farci sfuggire la questione del destino di Gerusalemme.

Della bellezza e della bruttezza del mondo, del mistero che ci circonda. Nel reale spalancato davanti a noi c’è di tutto, c’è di più. Non sarà un dramma se per qualche sera lo indagheremo senza il poderoso contributo del capogruppo o i mirabolanti programmi del candidato, vero? Tutti noi pubblico avremmo capito e anzi ci saremmo incuriositi. Magari ascoltando, tanto per cominciare la serie dei talk show diversamente regolati, un’intervista con Tonino (Saladino, non Di Pietro).