E’ notizia recente l’imbarazzo creato dalla domanda di uno studente inglese ai candidati premier britannici circa i loro programmi per il miglioramento dell’istruzione pubblica; sia Brown sia Cameron sia Nigel pare infatti non siano stati in grado di dare risposte soddisfacenti e non siano andati al di là di generiche affermazioni quali la necessità di ridurre il numero di allievi per classe.
Roberto Formigoni, neoeletto presidente della Lombardia, pare abbia le idee ben più chiare: per incidere sul sistema scolastico occorre primariamente lavorare sul fattore produttivo più importante per il mercato dell’istruzione, cioè sugli insegnanti, puntando su efficienza e merito. Logica conseguenza di questo ambizioso scopo è il progetto di riorganizzare su basi regionali l’abilitazione dei docenti e affidare il reclutamento direttamente alle scuole; per far questo, niente riforme della legislazione ma una sperimentazione da concordarsi col Governo nazionale che non tocchi i principi di fondo della nostra legislazione ma che crei condizioni più favorevoli all’innovazione e all’incremento della qualità.
Il progetto è interessante e realistico. In questi anni l’amministrazione lombarda ha lavorato a fondo sull’istruzione e sulla formazione professionale non solo innovando, tramite la Dote, i sistemi di finanziamento della domanda a sostegno delle famiglie, con una attenzione particolare soprattutto a quelle meno abbienti; forti dell’esperienza della formazione professionale, che si è sviluppata – dopo gli accordi stipulati col governo nel 2003 – fino a raggiungere oggi più di 40.000 ragazzi dai 3.000 di partenza – nella scorsa legislatura si è lavorato per creare un sistema amministrativo in grado di “reggere” la sfida della regionalizzazione, capace cioè di programmare e realizzare i vari aspetti della gestione della scuola, dagli orari alla rete scolastica, dalla anagrafe degli studenti all’informatizzazione delle iscrizioni.
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Potrà sembrare un dettaglio ai non addetti ai lavori ed è certamente un lavoro che non fa notizia; eppure è esattamente questa la condizione per dare attuazione ai progetti di decentramento federale che da anni vengono scritti nelle leggi ma che, in assenza di strutture gestionali adeguate, finiscono per restare sulla carta. Lo aveva già prefigurato una importante sentenza della Corte costituzionale del 2004 (sent. nr. 13/2004), secondo cui il trasferimento alle regioni dei poteri conseguenti alla riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione era condizionato alla dimostrazione, da parte delle Regioni stesse, di essere in grado di garantire l’erogazione del servizio scolastico senza sofferenze per alunni, famiglie e istituzioni. Ora questa condizione per l’esercizio delle funzioni regionali in materia può considerarsi assolta ed è giunto il momento di cominciare.
Le fondamenta sono dunque impostate; si tratta ora di continuare sia a questo livello sia nel progettare il futuro in vista del grande salto a cui Formigoni si candida: non solo gestire reti, infrastrutture scolastiche, fondi per il diritto allo studio ma entrare nel vivo della scuola e ripensare alla configurazione della funzione docente, dal reclutamento alla valutazione, allo scopo di valorizzarne il lavoro, un lavoro fondamentale per il Paese, fin qui davvero troppo sottostimato, sia socialmente che economicamente.
Un nota bene conclusivo: l’incerto federalismo all’italiana, ancora per molti aspetti sui blocchi di partenza, può partire non solo progettando leggi e decreti, ma creando accordi tra lo Stato e le Regioni che consentano a chi è pronto di cominciare a sperimentare e creare esempi virtuosi, capaci ad un tempo di valorizzare le realtà regionali e di mantenere una solida relazione con il centro del Paese. Dimostrando nei fatti che non c’è mutua esclusione tra una governo centrale autorevole e realtà regioni capaci di autonomia responsabile e non secessionista.