Pioveva a dirotto quella sera di cinque anni fa quando, incollati al televisore, aspettavamo che si aprisse il finestrone centrate di San Pietro e un cardinale ci annunciasse il nome del nuovo Papa. Disse: «Josephum sanctae romanae Ecclesiae cardinalem Ratzinger». E aggiunse che l’eletto aveva scelto come nome Benedetto XVI. Dopo pochi minuti il duecentosessantacinquesimo pontefice della Chiesa Cattolica appariva al balcone e si dichiarava «umile lavoratore nella vigna del Signore».
Lavoro duro, pieno di insidie, carico di dolore. Come ben stiamo vedendo. E come la lunga storia della Chiesa mostra chiaramente. Pensiamo a quando, all’inizio del quattordicesimo secolo, il Papa si trovava ad Avignone rischiando di finire sottomesso alla monarchia francese. Per di più pericolose eresie laceravano la comunione ecclesiale, appetiti terreni muovevano guerra al territorio della Chiesa, grandi prelati davano pessimo esempio con una vita dissoluta e mondana.
Ma lo scandalo del male non prevalse neppure allora sulla sicurezza che il Padrone della vigna non l’avrebbe mai abbandonata e che ogni difficoltà avrebbe potuto trasformarsi in sorgente di bene.
Lo documenta in modo impressionante una delle lettere che Caterina da Siena indirizzò a Gregorio XI, il papa che nel 1377 avrebbe riportato a Roma la sede pontificia. La santa senese chiama il Papa «Santissimo e dolcissimo padre in Cristo Gesù» e lo definisce «portinaio» della casa di Cristo «la cui vece rappresentate in terra».
Ella è ben consapevole che la missione del Papa è carica di croce e dolore, tanto più gravi in quanto sono spesso provocati da «ribelli figliuoli». Perciò invita anzitutto Gregorio a imitare il «dolce e innamorato Verbo, che virilmente corre all’obbrobriosa morte della santissima croce, per compire la volontà del Padre e la salute nostra».
Pur dentro un appassionato slancio affettivo – lo chiama «Babbo mio» – Caterina non nasconde le difficoltà: «Da qualunque lato io mi volgo, vedo e’ secolari, e’ religiosi, e li chierici, con superbia correre alle delizie, stati e ricchezze del mondo, con molta immondizia e miseria». E come non ricordare, di fronte alla parola «immondizia», il grido accorato del cardinale Ratzinger durante la Via Crucis del 2005: «Quanta sporcizia nella Chiesa».
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Nella vigna del Signore, prosegue Caterina, ci sono «fiori, che debbono essere fiori odoriferi» e invece «gittano puzza d’ogni miseria». E Caterina suggerisce a Gregorio: «Mettete mano a levare la puzza de’ ministri della santa Chiesa; traetene e’ fiori puzzolenti, piantatevi e’ fiori odoriferi, uomini virtuosi, che temono Dio».
Non è opera facile e priva di fatica e tribolazione. Ma, conclude la santa, «confortatevi con Cristo dolce Gesù. Ché tra le spine nasce la rosa, e tra le molte persecuzioni ne viene la reformazione della santa Chiesa».
È quello che Benedetto sta facendo. E, come Caterina, volgiamo essere al fianco del nostro «dolcissimo padre».