Sono mesi di grandi movimenti nello scenario del Medio Oriente. Tutto è determinato dall’enigma iraniano: enigma che riguarda sia la reale volontà di Teheran, sia le risposte dei diversi Paesi e blocchi di fronte al possibile esercizio delle opzioni militari (vedi il precedente editoriale del 16 aprile scorso).

Oltre alle difficoltà di rapporto tra Israele e gli Stati Uniti e Israele la Turchia, c’è da aggiungere un altro fatto di grande rilievo: gli Stati Uniti stanno rifornendo di batterie missilistiche Patriot e altri sistemi d’arma diversi Paesi del Golfo, dagli Emirati al Kuwait. Alcuni accordi sono già conclusi, altri, come con l’Oman sono in corso.

Il Patriot è un missile “difensivo” e la strategia è chiaramente concepita come deterrente nei confronti dell’Iran (e di eventuali rappresaglie della repubblica islamica a seguito di azioni militari contro suoi impianti nucleari). Nella ricca area dei paesi petroliferi del Golfo, il Pentagono ha stipulato negli ultimi tempi importanti accordi militari, e non molte informazioni ufficiali sono circolate in merito. Perlustrando i media arabi, gli analisti hanno rilevato che si tratta di uno sforzo finanziario notevolissimo: la sola fornitura agli Emirati prevede oltre alle due batterie un numero imprecisato di aerei conosciuti come “radar volanti”.

Diverso il discorso per l’Arabia Saudita, un paese che, intimorito dai progetti atomici degli ayatollah di Teheran, guarda con particolare attenzione anche a quanto avviene nel nord dello Yemen, dove la ribellione della tribù sciita, ha dato modo agli iraniani di dar prova di forza.

Teheran, infatti, è accusata di aver inviato rifornimenti – è stata bloccata anche una nave – e uomini, affidando la missione allo Hezbollah, il “Partito di Dio” sciita libanese. Secondo fonti giornalistiche arabe, un buon numero di miliziani libanesi sono scomparsi in circostanze misteriose proprio nello Yemen. Si tratterebbe di elementi di un reparto speciale specializzato nell’attività d’intelligence.

 

Riad ha i suoi principali giacimenti di greggio nella zona orientale della penisola arabica, una regione popolata in maggioranza da sciiti, e si sente per questo maggiormente esposta. Oltre ad adottare rigide misure di sicurezza attorno ai suoi impianti petroliferi, il governo saudita ha concordato con gli Stati Uniti le più importanti commesse militari dirette da Washington nel Golfo.

 

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Tra queste l’ammodernamento della sua flotta di aerei radar Awacs (310 milioni di dollari), l’acquisto di un sofisticato sistema di navigazione aerea a bassa quota e d’identificazione notturna dei bersagli a raggi infrarossi (200 milioni di dollari). L’aeronautica militare del Regno sarà inoltre dotata di 900 bombe Jdam, costosi ordigni guidati sperimentati nel 2003 in Iraq; le navi da guerra saranno dotate di missili Aim-9X sensibili al calore.

 

Venti anni dopo la prima guerra del Golfo e sette anni dopo l’inizio della seconda, che ha fatto capitolare Saddam, nel mirino dell’opzione militare l’obbiettivo è cambiato totalmente.