Il Time della settimana scorsa ha dedicato la sua storia di copertina al cinquantesimo anniversario di Enovid, pillola per il controllo delle nascite prodotta dalla società farmaceutica G.D. Searle & Co e approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti il 9 maggio 1960. Oggi la gente la chiama semplicemente la “pillola” ed è diventata il simbolo dei drammatici cambiamenti sociali che l’uso esteso dei contraccettivi ha portato con sé, facilitandoli e promuovendoli.

A quel tempo ero ancora all’università e non molto interessato al dibattito scatenato dalla approvazione federale della Pillola, fino a quando divenne un’accesa battaglia politica nel mio Paese di origine, Porto Rico. Ho trovato l’articolo della scorsa settimana su Time rilevante, documentato e ben scritto. Tuttavia, il resoconto dello scontro politico a Porto Rico è lungi dall’essere adeguato e non ne coglie il punto principale.

A Porto Rico, il dibattito non era semplicemente attorno alla contraccezione, ma sulla sperimentazione cui venivano sottoposte donne povere e poco istruite, senza che di questa sperimentazione facesse parte anche la loro educazione all’uso della Pillola, con il risultato di aborti indotti e sterilizzazioni.

La sperimentazione è stata fatta a Porto Rico perché era un Territorio americano (non uno stato) i cui cittadini non potevano votare sulle leggi federali, alle quali dovevano però sottostare come tutti i cittadini americani. Era (e secondo molti lo è ancora) una colonia di fatto degli Stati Uniti, lontana dall’attenzione di chi viveva nei 50 stati.

Questa sperimentazione è stata finanziata dalla industria farmaceutica e da fondazioni private impegnate nella promozione del controllo della popolazione, ma ha avuto l’appoggio del governo Usa e di quello portoricano, che consideravano la contraccezione come uno strumento fondamentale per combattere la povertà, soprattutto nei Paesi sottosviluppati.

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Il Governatore dell’epoca era Luis Munoz Marin, il primo eletto dalla popolazione portoricana, considerato da molti il “George Washington” di Porto Rico, molto popolare e continuamente rieletto. Aveva fondato il Partito Democratico Popolare (i “populares”), con legami con il Partito Democratico americano.

 

Con i “populares” aveva dato vita a quello che pretendevano essere un nuovo status politico per Porto Rico, lo “Stato Libero Associato” o “Estado Libre Asociado” (ELA) in spagnolo, affermando che si sarebbero avuti così i vantaggi sia dell’indipendenza che del riconoscimento come stato.

 

In inglese questo status veniva chiamato “Commonwealth”, un termine vago applicabile a diversi assetti politici e scelto forse proprio per questo. A Munoz Marin ai populares si opponevano piccole minoranze che volevano o l’indipendenza (“independentistas” o “nacionalistas”), o il riconoscimento come vero e proprio stato dell’Unione (“estadistas” o republicanos”), per lo più a quel tempo collegati al Partio Repubblicano.

 

Nella fattispecie, entrambi i populares e i repubblicani avrebbero dovuto avere un interesse politico al “problema della popolazione” a Porto Rico, mentre gli “Independentistas,” qualunque cosa pensassero del controllo delle nascite in sé, vedevano nella sperimentazione l’occasione per mettere in imbarazzo il governo “coloniale” degli Stati Uniti.

 

Tuttavia, non fu nessuno di questi partiti a portare in pubblico la lotta sul programma, ma fu la Chiesa Cattolica. Ecco come il Time descrive il dibattito del 31 ottobre 1960 (negli Usa, John F. Kennedy era in lizza per diventare il primo presidente cattolico):

 

Nella discussione sulle relazioni tra Stato e Chiesa, il punto contro il quale Jack Kennedy ha lavorato duramente è il diritto morale della Chiesa Cattolica Romana di interferire nelle decisioni politiche, dicendo ai suoi membri come votare o come comportarsi nelle loro funzioni. La settimana scorsa la questione è stata improvvisamente risuscitata in modo aspro, non da ambienti evangelici reazionari, ma dai vescovi cattolici di Porto Rico, due dei quali nati e cresciuti nella terraferma: l’arcivescovo di San Juan, James Davis (Tucson), e il vescovo di Ponce, James McManus (Brooklyn).

 

In una lettera pastorale, di cui è stata ordinata la lettura questa domenica nelle 479 chiese dell’isola, i vescovi accusano il riformista Partito Democratico Popolare del Governatore Luis Munoz Marin: “È nostro obbligo” scrivono, “proibire ai cattolici di dare il loro voto [nelle elezioni dell’8 novembre] a un partito che accetta come propria la moralità di un “regime di licenza”che nega la morale cristiana…

 

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“É evidente” continuano i vescovi “che la filosofia del Partito Democratico Popolare è anticristiana e anticattolica ed è basata sulla moderna eresia che la volontà popolare e non la legge divina decide ciò che è morale e ciò che è immorale. Questa filosofia distrugge i Dieci Comandamenti di Dio e permette che siano sostituiti da criteri umani e popolari.” Come prova, i prelati citano l’assenza dell’educazione religiosa nelle scuole pubbliche e ”il tentativo antidemocratico di confinare il clero alle sole funzioni religiose…” da parte di Munoz Marin.

 

Il Governatore Munoz Marin, al suo terzo mandato, è da lungo tempo in dissidio con i vescovi. I principali temi di contrasto sono le cliniche per il controllo delle nascite, iniziate dal suo predecessore ma che lui ha continuato, e il suo rifiuto di permettere l’istruzione religiosa dei bambini nelle scuole pubbliche.

 

L’estate scorsa il focoso vescovo McManus ha collaborato alla creazione di un nuovo Partito di Azione Cristiana, invitando tutti i cattolici a sostenerlo… Munoz era ancora abbastanza arrabbiato da accusare la lettera dei Vescovi di essere “un’incredibile interferenza medioevale in una campagna politica”, promettendo di portare la questione in Vaticano.

 

Quando lo staff di Kennedy venne a conoscenza del divieto dei vescovi di Porto Rico, si rivolse preoccupato a teologi cattolici per un loro parere. Il parere fu: è improbabile che un prelato cattolico negli Stati Uniti prenda una posizione così apertamente contraria, ma è probabile che alcuni si dichiareranno d’accordo con i vescovi portoricani.

 

Il portavoce Pierre Salinger emise una dichiarazione per conto di Kennedy: “Il Senatore Kennedy considera questa azione completamente impropria ed estraneo al nostro sistema democratico che ecclesiastici di qualsiasi fede dicano ai membri della loro Chiesa per chi votare o non votare.”

 

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Si noti che l’articolo non cita mai gli esperimenti di controllo della popolazione fatti su donne povere portoricane, con sterilizzazioni, aborti indotti e nascite di bambini deformi. Perché? E perché la scarsa attenzione data fino a oggi a questo argomento? Come e perché il governo portoricano di allora accettò una tale violazione dei diritti umani? Chi, negli Stati Uniti, era al corrente ma tacque? Quale fu il ruolo dei media nel mantenere il segreto su questo programma? Cosa dissero vescovi americani come il Cardinale Spellman di New York o Cushing di Boston dissero al Vaticano? Chi consigliò il Vaticano su come rispondere?

 

Nel mezzo del conflitto, Davis fu nominato arcivescovo e diede una cena cui partecipò il Cardinale Spellman, che si dice avesse incontrato Munoz all’aeroporto di San Juan. Il vescovo McManus proibì ai suoi preti di partecipare alla cena… E il Partito di Azione Cristiana? Quanto era indipendente dal controllo episcopale?

 

A proposito, Munoz Marin vinse le elezioni con la più vasta maggioranza mai ottenuta. Ecco il mio pensiero: sarebbe stato interessante, in quest’epoca di trasparenza, che i media avessero indagato su quanto successo allora e sui responsabili dei fatti. Forse alcune delle vittime di quelle violazioni dei diritti umani ora potrebbero ottenere quello che la giustizia umana può loro offrire.