Malgrado la leggera ripresa dei tassi di fertilità di questi ultimi anni, di cui abbiamo già fatto cenno su ilsussidiario.net, in Italia si continuano a fare pochi figli rispetto alle medie europee. Cosa può spiegare questo triste primato?
La risposta rituale è prevalentemente legata a regioni di opportunità economica: i figli, come noto, costano e dunque non essendoci soldi a disposizione si evita di metterli al mondo. Anche perché, come noto, il governo italiano non ha mai brillato (e continua a non brillare) nel sostegno alle politiche famigliari.
Meno soldi in tasca e zero aiuti di Stato: ecco confezionata la spiegazione apparentemente perfetta. Le cose però non stanno esattamente in questo modo. Quando si passa dalle affermazioni di senso comune alle dure evidenze statistiche le cose cambiano. E di molto.
Il Rapporto del Centro Internazionale Studi Famiglia, dedicato quest’anno proprio al tema del costo dei figli, restituisce una fotografia dell’immaginario italico che complica le nostre granitiche certezze in materia. Un’indagine su un campione di famiglie mostra infatti come le motivazioni della scarsa fertilità siano solo in minima parte riconducibili alla pura dimensione economica.
L’aver avuto pochi soldi a disposizione incide infatti sulle scelta riproduttive solo per il 19,5%. Ancor meno significativa è invece la scarsa disponibilità di tempo per la conciliazione tra compiti famigliari ed esigenze lavorative (8,95%).
Cosa spiega allora la scarsa propensione a fare figli degli italiani? La risposta è nascosta dentro la definizione generica “motivazioni personali”, che così viene spiegata dal sociologo Pierpaolo Donati, curatore del Rapporto: “Le cause che hanno ristretto la natalità sono per quasi il 58% rappresentate da motivi soggettivi! Possiamo dire, in breve, che si tratta di motivi psicologici legati al senso di incertezza e di rischio sul futuro, così come a fattori culturali inerenti alle difficoltà di impegnarsi nell’educazione dei figli”.
Detto in un modo più brutale, gli italiani non vogliano fare figli perché non hanno sufficienti ragioni per caricarsi sulle spalle ciò che sembra essere soltanto una fatica.
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La ricerca del CISF non fa per altro che confermare un dato già emerso da un’indagine effettuata dall’ISTAT nel 2005, nella quale le motivazioni di tipo economico o legate al lavoro riguardavano poco più del 30% della popolazione. Neutralizzata la dominante spiegazione economica, resta dunque sul campo una delle tante facce dell’emergenza educativa in cui versa il nostro Paese. Senza speranza, senza fiducia nel futuro, senza la disponibilità a sacrificare una parte della propria libertà, non si può generare.
Evidentemente servono buone politiche famigliari e una nuova organizzazione del lavoro femminile per rimuovere le motivazioni più concrete e oggettive. Ma accanto (e anzi prima) di questi interventi serve un impegno generalizzato per combattere, politicamente e culturalmente, la deriva depressiva e antigenerativa che sembra essersi impossessata della mente e dei cuori delle famiglie italiane. È una sfida di civiltà e di responsabilità cui siamo chiamati tutti.