Introducendo una recente raccolta di suoi scritti, il sociologo Luca Ricolfi sottolinea come sempre di più sia all’opera nel circuito politico-mediatico un diffuso interesse alla drammatizzazione dei mali sociali, che assume la forma più virulenta in quella sorta di “estremismo numerico” fatto di cifre esagerate e statistiche iperboliche. Questo clima catastrofista si è fatto più evidente in questo periodo di crisi: così le famiglie italiane si ritrovano ogni giorno di più descritte come poverissime, senza più risparmi cui attingere, senza più consumi con cui rallegrarsi l’esistenza.

Leggendo però i dati senza inforcare gli occhiali della drammatizzazione si scopre una realtà diversa rispetto alla effettiva incidenza della crisi sulle tasche degli italiani. La realtà di una crisi che certamente ha colpito e continua a colpire in termini macroeconomici, ma le cui conseguenze reali sulla vita delle famiglie sono ancora tutte da decodificare. Le statistiche più recenti di contabilità nazionale segnalano nel 2009 un calo dei consumi pari all’1,8%. Se aggiungiamo il -0,8% dell’anno precedente possiamo certamente dire che il biennio appena trascorso è stato duro, ma non c’è traccia delle catastrofi da più parti annunciate.

Una recentissima indagine ISMEA, Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, segnala ad esempio come nel I trimestre 2010 gli acquisti per cibo e bevande abbiano registrato un incremento dell’1,1% rispetto al I trimestre del 2009, anche se grazie alla flessione media dei prezzi al consumo del 4,9% la spesa delle famiglie italiane si è ridotta del 3,9%. Super e ipermercati, che concentrano insieme quasi il 70% della spesa delle famiglie, segnano un +1,3%, mentre non si arresta il declino del dettaglio tradizionale (-6,8%), che in questa situazione congiunturale di crisi risente soprattutto della concorrenza esercitata sul versante dei prezzi.

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 I dati congiunturali diffusi da Confcommercio non fanno che confermare la tendenza, mostrando un segno positivo nei primi tre mesi dell’anno. Cosa segnalano le dinamiche di consumo? Non certo un crollo verticale, ma un nuovo atteggiamento da parte della famiglia italiana, che reagisce alla crisi razionalizzando gli acquisti e facendo maggiore attenzione allo spreco e ai prezzi. Insomma, come spiega il primo report trimestrale sull’indebitamento presentato pochi giorno fa da ABI e Ministero del Lavoro le famiglie italiane cambiano stile di vita, si fanno prudenti, risparmiano più che possono e se si indebitano lo fanno ancora e soprattutto per compare casa, dunque per investire sul futuro (aiutati in questi da tassi di interesse giunti ai minimi storici).

L’impressione generale, allora, è quella di un circolo vizioso: la drammatizzazione mediatica rende sempre più prudenti le famiglie, che rintanate nella loro fortezza Bastiani attendono ansiose l’arrivo dei Tartari. Ma il comportamento difensivo delle famiglie penalizza la ripresa dei consumi, da cui invece dovrebbero arrivare scosse salutari per la ripresa del quadro economico.

 

E così, un passo dopo l’altro, le profezie più nefaste rischiano di auto-avverarsi, con un effetto traino al ribasso che sta provocando rischi crescenti innanzitutto in termini occupazionali. A meno che il Governo non decida, finalmente, di intervenire sulla leva fiscale, abbassando le tasse a tutti e sostenendo in modo equo le famiglie con figli.