Da Fatima a Roma, la via del Papa

Il Papa ritorna da Fatima a Roma e domenica troverà migliaia di persone in piazza San Pietro per l’Angelus

Volando verso Fatima, Benedetto XVI ha preso di petto le domande dei giornalisti, selezionate in precedenza in modo tale da dare al Papa la possibilità di risposte approfondite. E ha usato parole e concetti formidabili.

 

Innanzitutto la coppia ragione-fede posta come “sfida” all’uomo europeo di oggi, caratterizzato da un certo passato, da una certa cultura, da una certa storia: “La presenza del secolarismo è una cosa normale, ma la separazione e la contrarietà tra secolarismo e cultura della fede è anomala e deve essere superata. La grande sfida di questo momento è che i due si incontrino e trovino così la loro vera identità. Questa, come ho detto, è una missione dell’Europa e una necessità umana in questa nostra storia”.

Poi una visione sintetica della Dottrina sociale della Chiesa, ma sottolineando una decisa correzione a una concezione “spiritualistica” presente anche tra i cristiani, richiamando invece la potente idea di una “responsabilità per il mondo”: “Dobbiamo anche constatare che la fede cattolica, cristiana spesso era troppo individualistica, lasciava le cose concrete, economiche al mondo, e pensava solo alla salvezza individuale, agli atti religiosi, senza vedere che questi implicano una responsabilità globale, una responsabilità per il mondo. Anche qui dobbiamo entrare in un dialogo concreto: ho cercato nella mia enciclica Caritas in veritate, e tutta la tradizione della dottrina sociale della Chiesa va in questi senso, di allargare l’aspetto etico e della fede sopra l’individuo alla responsabilità del mondo, a una razionalità però formata dall’etico, e dall’altra parte gli ultimi avvenimenti sul mercato in questi ultimi due o tre anni hanno mostrato che la dimensione etica è interna e deve entrare all’interno dell’agire economico perché l’uomo è uno, si tratta dell’uomo, di una antropologia sana che implica tutto”.

Infine il tema più incandescente, sul quale si sono soffermate le cronache e vari commentatori, in riferimento al messaggio di Fatima: la sofferenza della Chiesa, il male nella Chiesa. “Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarà per sempre sofferente, in modi diversi fino alla fine del mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a situazioni particolari, ma la risposta fondamentale cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù cardinali, fede, speranza carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi ogni singolo dobbiamo dare in questa situazione.

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Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, è anche che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si sapeva sempre, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa. E che la Chiesa ha quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare il perdono ma anche la necessità della giustizia.

 

Il perdono non sostituisce la giustizia. Dobbiamo imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza, le virtù teologali. Così rispondiamo e siamo realisti, per aspettare che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che finalmente il Signore è più forte del male e la Madonna per noi è la garanzia. La bontà di Dio è sempre l’ultima parola della storia”.

 

Conversione permanente, penitenza, preghiera, le virtù della fede, della speranza, della carità: come suonano familiari a tanti cristiani di oggi le “risposte” che il Papa propone davanti allo sgomento della evidenza del male fuori e dentro di noi. Familiari e dure, per nulla scontate, facili da dimenticare, attaccati come siamo alle conseguenze “sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista”, come poi egli stesso ha ricordato ai centomila assiepati nella piazza di Lisbona.

 

E qui non ha risparmiato una ulteriore sferzata alla Chiesa (l’urgenza di un cambiamento emerge come forte di questo viaggio): “Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni”. Altre parole da non dare per scontate: non si può continuare a seguire i propri ruolini di marcia come se nulla fosse, ad anteporre o ad affiancare a un Papa che parla così, che grida così, che sfida così, il proprio intoccabile tran tran.

 

Carichi di queste parole e di questi sentimenti, domenica prossima in moltissimi saranno presenti in piazza San Pietro per quello che è stato definito un grande, essenziale gesto “di popolo”: pregare insieme al Papa, testimonianza non tanto di un sostegno a lui, ma piuttosto del bisogno di essere da lui sostenuti, di ascoltare ancora “le parole che danno la vita”. Qualcuno si è domandato che senso abbia che a decine di migliaia di sobbarchino di fatiche e di ore di viaggio “solo” per pochi minuti di preghiera. Solo? 

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