Finalmente, dopo aver chiesto per anni che le piccole e medie imprese diventassero grandi restando piccole attraverso la realizzazione di accordi interaziendali, qualcuno ha deciso di dare il buon esempio. E non qualcuno a caso, ma alcune, cinque per la precisione, tra le principali associazioni imprenditoriali di rappresentanza di questo segmento dimensionale di imprese.

Fino a lunedì scorso si assisteva al paradosso che in convegni, manifestazioni varie, articoli e pubblicazioni molti facevano a gara nel consigliare, dopo adeguata denuncia dei pericoli della minore dimensione in era di globalizzazione, la strada dei consorzi, delle joint ventures, dei gruppi di impresa per uscire dall’impasse in cui, spesso peraltro, le pmi nostrane non erano coscienti di essere.

Dal nanismo industriale si poteva uscire passando con qualche collega dal notaio. E se parlare di incorporazioni, acquisizioni, fusioni proprio non era nemmeno il caso, almeno mettersi in accordo bisognava farlo. Poi si leggevano le firme in calce al manifesto o l’elenco degli organizzatori del convegno e questi erano più lunghi dello stesso testo o programma.

Esagerazioni certo, ma chi non ricorda di avere visto servizi televisivi inerenti i periodici incontri tra governo e rappresentanti degli interessi economici con tavoli molto lunghi affollati da decine di persone. Ora non più. È nata, e si preannuncia essere una cosa seria, Rete Imprese Italia.

Dopo quattro anni di lavori preparatori con usuale sede in piazza Capranica a Roma, da cui il nome fin qui dato a quel tentativo progettato di aggregazione, Confartigianato e Cna, Confesercenti, Confcommercio e Casartigiani hanno deciso di fare il grande passo.

Più di due milioni di aziende, con quattordici milioni di collaboratori, pari al 58% del totale degli occupati e al 60% del valore aggiunto nazionale prodotto, da lunedì scorso hanno un unico Portavoce che, a cominciare dall’attuale, Carlo Sangalli di Confcommercio, sarà a rotazione per un semestre ciascun presidente delle associazioni costituenti. Queste resteranno operative e manterranno la propria articolata presenza sul territorio, ma in sede pubblica e di elaborazione progettuale parleranno a un’unica voce.

Che si tratti di un intento serio, cosa di cui sono fermamente convinto, lo dimostrano anche le due assenze all’evento inaugurale. La politica era presente ai massimi livelli e in forma tri-partisan, ma la Lega era rappresentata solo da un onorevole, per giunta non tra i più conosciuti. Completamente assente Confindustria, rasentando così anche l’incidente diplomatico.

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È un accordo che sembra dare fastidio a chi fa della presenza sul territorio il proprio marchio di fabbrica e che vede nelle centinaia di sedi associative dislocate nei comuni italiani, e oggi riunite in rete, un potenziale concorrente e a chi forse sperava di riunire sotto le proprie insegne questa importante parte del mondo produttivo.

 

Questo è un accordo utile alle piccole e medie imprese e reso possibile dal percorso di de-ideologizzazione che le associazioni hanno fatto nel corso degli ultimi vent’anni: almeno le quattro principali rappresentavano infatti la versione democristiana e comunista dei loro mondi di riferimento.

 

Come nel caso del mondo cooperativo, terminata l’azione di quei partiti storici, si è di molto affievolita anche l’automatica connessione politica. Speriamo così non sia invece per le esperienze originarie da cui ripresero vigore nell’immediato dopoguerra quelle organizzazioni. C’è infatti una realtà cattolica e una popolare di sinistra, ancora priva di venature radicaleggianti, che, pur tra mille difficoltà, ha molto da dire in argomento economico e imprenditoriale.

 

L’augurio è che, superando le mille difficoltà del caso, il neonato arrivi almeno alla maggiore età.