L’etica è diventata la parola magica di molti discorsi e analisi. Un ingrediente quasi obbligato per essere allineati al politicamente corretto così in auge. Che si tratti di finanza, di politica, di economia, di organizzazione della società, se di fianco c’è l’aggettivo “etico” allora tutto sembra assumere una patente di rispettabilità.

Ciò che in altri casi è liquidato con il termine spregiativo di “affari” o come ricerca del potere, quando coinvolge i banditori dell’etica viene automaticamente nobilitato come “senso del dovere” o “imperativo della coscienza”.

In realtà dietro tale tendenza mi pare si nasconda una grande ipocrisia. Quella di pensare che tutto possa essere demandato al rispetto di alcune regole astrattamente definite. L’esito di questo modo di vedere le cose è un moralismo risentito che in genere prende di mira i comportamenti altrui, ma tende ad auto-assolvere chi lo predica.

È singolare che tutta l’enfasi sull’etica sia una caratteristica solo degli ultimi due decenni. Prima non ci si è mai posti il problema e tale fatto dovrebbe già suscitare qualche sospetto su questa improvvisa conversione. Forse nel passato si era più immorali di oggi? Si rubava di più? Non credo.

Del resto la crisi che stiamo vivendo adesso con tutti i suoi aspetti patologici, si è manifestata dopo un decennio caratterizzato proprio dal fiorire di discorsi sull’etica e dall’adozione di codici etici. Abbiamo assistito senza colpo ferire prima a un clamoroso uso delle regole per giustificare le peggiori degenerazioni e, poi, al moltiplicarsi delle regole stesse per cercare di riprendere, senza grande successo, il controllo della situazione.

Purtroppo ci si è illusi di rimediare con un soprassalto etico agli effetti perversi di un individualismo sociale ed economico che ha fatto dell’homo homini lupus di Hobbes il suo modello. Il fallimento di questa impostazione è davanti a noi. Non ci saranno mai abbastanza regole, pur necessarie, per ammaestrare i lupi. La vera tragedia è aver pensato di riempire con l’etica un vuoto lasciato da qualcos’altro.

La storia letteraria, artistica e del pensiero del resto ha molto da insegnarci. È piena di portaborse del potere che hanno prodotto opere immortali, mentre di tanti uomini virtuosi e incorruttibili, alieni da ogni compromesso, non è rimasta traccia. La realtà sfugge sempre alle camicie di forza che le si vogliono imporre siano esse di tipo ideologico o etico. E grazie a Dio è così.

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Per questo motivo è ancora più necessario puntare sull’educazione, cioè sulla costruzione di un adeguato rapporto fra l’io e gli altri. L’etica in tale prospettiva può essere sempre e solo conseguenza della profondità con cui si sente la vita, di come se ne avverte la bellezza e il mistero. Se così non è, diventa soltanto un orpello funzionale alla conservazione del proprio potere.

 

Nel suo recente viaggio in Portogallo Benedetto XVI ha osservato: “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?”.

 

Il Papa si rivolge ai credenti, ma l’orizzonte che indica riguarda tutti. Non ci invita a seguire delle regole, ma a preoccuparci della sostanza, di ciò che dà sapore alla vita.