Ci vuole inventiva, che non è una parola molto usata nel dibattito economico italico. Di solito si parla di “innovazione”, ma il fatto è che prima dell’innovazione ci vuole l’inventiva, l’idea. Tutto sta a capire cosa viene prima dell’idea, e cioè se l’inventiva nasca da qualcosa e che cosa. Stando a sentire i racconti delle quattro imprese-simbolo che ieri sono state presentate alla “Giornata dell’Economia” proposta da Unioncamere, il “qualcosa che viene prima” della stessa inventiva è composto di due aspetti: l’osservazione della realtà e la disponibilità a imparare da essa. Guardare, contemplare, è necessario. Ma poi occorre seguire, ascoltare, fare proprio (l’atteggiamento dell’imparare è l’atteggiamento dell’assumere dentro di sé). È a quel punto che l’intelligenza si mette in moto, e crea. Altrimenti non si spiega come, a partire dagli stessi identici dati a disposizione di tutti, solo in alcuni sbocci l’idea, la “trovata”, proprio nel senso di una cosa che balza agli occhi più che nel senso di una cosa che si inventa.

Ecco dunque “Eataly”, che tra poco sbarca a New York, un sistema di mercati del cibo di eccellenza: è saltato fuori valorizzando i prodotti della cultura agroalimentare italiana, che più o meno tutti noi connazionali crediamo di conoscere. Da un tale che doveva fare il commercialista è scaturito il “filo quadrato” per i motori elettrici automobilistici, una storia straordinaria che ha rischiato di chiudersi con la crisi e che invece proprio la crisi ha costretto a ripensare e a rilanciare (appunto, disponibilità a imparare): l’azienda in questione si chiama “Tecnomatic”.

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Un altro, un albergatore che oggi guida la “Umpi”, non voleva più rompere i muri ogni volta che doveva far passare nuovi cavi e così, un passo dopo l’altro, è finito con il considerare in una nuova luce i pali della luce solita, quegli stupidi e inservibili totem urbani, facendoli diventare postazioni di governo dell’illuminazione pubblica con risparmi collettivi nell’ordine del 25-35 per cento. Il quarto (“Sistemi 2000”), stanco di pagare i costi crescenti delle materie prime, realizza arredamenti e strumenti per la distribuzione commerciale utilizzando la plastica che tutti noi, con nonchalance quotidiana gettiamo nella spazzatura. Oggi tutti vanno all’estero, tutti fanno ricerca, tutti amano il proprio territorio, tutti assumono giovani.

 

Non sono formule, sono conseguenze del duro e a volte durissimo lavoro di chi ingaggia una partita con la realtà osservando e volendo imparare. Il che sembra facile, ma non lo è affatto, perché gli atteggiamenti istintivi che abbiamo introiettato in tanti secoli sono quelli del sospetto (la realtà mi vuole ingannare), del dominio (chi è il padrone qui?) e del progetto (la realtà deve cambiare come dico io). Un certo modo di fare l’impresa dice tutto dell’uomo che siamo tutti.