L’autovelox delle imprese

Le imprese sono ostacolate da una marea di controlli ex ante per iniziare la loro attività. Meglio sarebbe metterli a valle

Da sempre il nostro è uno strano paese. Da ultimo perché abbiamo ripetutamente preso atto in questi giorni che le persone con qualche disagio psichico, anche grave, spesso sono lasciate alla loro mercè e in grado di rapire neonati da un ospedale piuttosto che compiere gravi delitti in ambito familiare e non.

 

Contemporaneamente i “sani come un pesce” diventano malati un giorno al mese quando devono ritirare la pensione d’invalidità. Si dichiara matto chi non lo è e spesso non si interviene a curare chi o è per davvero. Attestare ciò che è vero o falso rimanda al tema del controllo, dell’autorità, pubblica in questo caso.

Non abbiamo mai brillato in questa direzione pensando, per esempio, che bastasse introdurre i limiti di velocità per ridurla efficacemente. Le decisioni migliori vedono limitare di molto i propri benefici effetti se non sono supportate da un adeguato controllo della loro applicazione e degli effetti indotti.

Anche a questo penso in questi giorni in cui il dibattito economico è completamente occupato dai temi della liberalizzazione del fare impresa, dell’“impresa in un giorno” e dello statuto delle imprese. Per quel che mi riguarda la strada è quella giusta: c’è bisogno di liberare energie imprenditoriali per metterle al servizio dello sviluppo del paese, per creare occupazione, per presidiare con nuovo entusiasmo i mercati internazionali.

Uno degli effetti positivi di questa crisi è sicuramente quello di avere ridotto al minimo storico il pregiudizio nei confronti del mondo delle imprese, rivalutato rispetto a quello della finanza speculativa. Anche la parte più conservatrice del sindacato ha dovuto riconoscere che il conflitto capitale-lavoro è un armamentario del passato, spazzato via da centinaia di esempi in cui datori di lavoro e collaboratori si sono dati una mano vicendevole, nel pieno della crisi, per venirne fuori il più presto e meglio possibile. Senza impresa, che in Italia significa per lo più piccola, privata e familiare, non c’è lavoro: ben venga dunque che le si dia fiducia e se ne agevoli l’attività.

È altrettanto ovvio però, e lo deve essere pure per i più accesi liberisti, che liberalizzare significa dare una mano anche alle attività criminali ripulite, agli imprenditori disonesti e furbetti, alle imprese straniere che possono aumentare la propria capacità competitiva sul nostro mercato. Il comportamento opportunistico è innato in ciascuno di noi ed è pronto ad attivarsi cogliendo le occasioni del caso.

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Quale studente non copierebbe se ciò non gli fosse impedito, o reso più difficile, dall’azione di controllo del docente? Solo che finora per impedire il rischio si sono abolite le prove scritte. Non riuscendo, o non volendo intervenire in maniera puntuale si è preferito creare a tutti gli imprenditori una barriera quasi insormontabile di leggi, provvedimenti, atti e controlli burocratici che hanno avuto l’unico effetto di prosciugare le energie della maggioranza di persone operose, non riuscendo a filtrare nessun malintenzionato.

 

No, il rischio non va bloccato a monte, ma controllato a valle: ti metto in condizione di ben operare per poterti poi controllare senza alcun senso di colpa. Meno ragionieri, fiscalisti, avvocati, professionisti delle associazioni imprenditoriali e più guardia di finanza. Qualunque autorità perde in prestigio se pretende di regolamentare troppo e in troppi campi e se non esercita un adeguato controllo: se, almeno con riferimento al fare impresa, si sta per imboccare la giusta direzione sul primo tema, occorre, di conseguenza, mettere a tema il secondo.

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