Una manovra (correttiva) non piace a nessuno. Farla con tagli alla spesa ancora di meno. Sarà per questo che negli ultimi anni nessuno l’ha fatta veramente tranne il Ministro Tremonti. Le entrate per uno stato sono legate a doppio filo all’andamento della sua economia. Le entrate dirette e indirette aumentano o diminuiscono rispetto all’andamento economico. Un governo può aiutare l’economia con spinte ma non può sostituirsi alla libertà di persone e imprese. Così in un momento difficile se occorre intervenire la strada è quella di tagliare le spese. Farlo non piace ma occorre anche essere coscienti che le alternative sono due: aumentare le spese attraverso nuovo debito o attraverso nuove tasse. Con effetti negativi proprio sull’economia, sulle imprese sulle persone che quella macchina economica dovrebbero far ripartire.
Chi governa un paese, soprattutto in momenti difficili, deve dimostrare responsabilità. Devo ricordare che questo paese è stato governato anche da chi voleva, con il suo sforzo, “dare la felicità agli italiani”1, con un Ministro dell’Economia che diceva che pagare le tasse era “bellissimo”2 , con un partito di governo che esultava per l’aumento delle tasse affermando: “anche i ricchi piangano”3. Un governo quello Prodi che in 5 mesi sfornò 67 tra aumenti di tasse esistenti e nuovi balzelli che colpirono tutti: persone, famiglie, casa, auto, imprese. Oggi in un momento difficile, e all’orizzonte non si prevedono momenti facili, abbiamo bisogno di senso di responsabilità e questa manovra nel suo metodo ne è l’esempio. Certo nel merito ho molte meno certezze ma è indubbio che questa manovra è il segno che chi governa lo fa in maniera responsabile e non nasconde il difficile momento che il paese sta attraversando.
Tra metodo e merito, però, la differenza c’è. Nel metodo dell’intervento la manovra, lo dirò per grandi capitoli e articoli e non nello specifico per mancanza di spazio, prevede dal lato delle entrate un impatto complessivo di 23 miliardi di euro tra il 2010 e il 2013, dal lato della spesa gli effetti netti porteranno complessivamente a riduzioni nel triennio 2011-2013 pari a 40 miliardi di euro. Le misure che concorrono maggiormente a questa cifra sono relative a: pubblico impiego, tagli lineari alle spese rimodulabili dello Stato e riduzioni dirette agli enti territoriali. Tutto questo per migliorare il “conto economico” dello Stato. Nel solo 2012 per esempio con la manovra, le spese correnti diminuiscono di 14 miliardi con un gettito fiscale in aumento di 10 miliardi di euro.
Il rapporto tra spesa finale e PIL diminuisce nel triennio passando dal 51,8% del 2010 al 49,6% del 2012. La lotta all’evasione è uno dei pilastri della manovra, attraverso due tipologie di intervento: il “potenziamento dei processi di accertamento” ovvero il controllo su presunta evasione del contribuente il cui livello di spesa risulta eccessivo rispetto al reddito dichiarato, e le “misure anti-evasione” contro forme di elusione ed evasione. Il pubblico impiego rappresenta una delle principali voci di spesa contenuta nella manovra correttiva. Nel complesso si stima che il risparmio da questo comparto possa essere di 1,7miliardi nel 2011, mentre per il 2012 e 2013 si prevedono economie per 4,3 miliardi e 5,3 miliardi.
Altro punto contenuto nella manovra è riferito alle riduzioni lineari alle missioni di spesa del bilancio dello Stato. Tranne il fondo ordinario dell’università, la ricerca, e il 5 per mille tutti i comprati dovranno stringere la cinghia. Saranno i Ministri a decidere poi al loro interno cosa e quanto risparmiare. Questo è lo scheletro della manovra, l’architrave. Molte sarebbero le cose da aggiungere, da specificare da implementare, come le riduzioni delle indennità dei parlamentari, dei ministri, dei manager pubblici, oppure i tagli alla politica e alle auto blu. Cose che magari chi legge conosce di più perché sono le questioni che i mass media preferiscono, ma la realtà della manovra è un’altra. Non mi soffermo molto sulla manovra nel senso che non ci si può dire soddisfatti o contenti. C’è chi ci prova ma difficilmente ci si può dichiarare soddisfatti se agli enti locali si tagliano trasferimenti e gli si lasciano le deleghe e le funzioni.
Come riusciranno a dare servizi ai cittadini? O non ci si può dire soddisfatti se il settore dei dipendenti pubblici risulta così pesantemente colpito. Però lo ribadisco, in questo momento particolarmente difficile, un intervento del governo era doveroso e responsabile. La situazione non è, per trovare un eufemismo, delle migliori. Chi ha un impresa che produce beni che non riesce a vendere, chi perde il lavoro, chi fa fatica a ritrovarlo, chi opera in borsa, chi fa la spesa al supermercato capisce cosa significa che il momento non sia dei migliori e riuscirebbe a spiegare meglio di molti professoroni e analisti la situazione attuale. In particolare mi limito per brevità a citare alcuni numeri che riguardano il nostro debito pubblico, un vero e proprio macigno.
Il rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo (PIL) è pari al 118%. In termini reali significa 1800 miliardi di euro di debito e circa 85miliardi di euro di spesa per soli interessi sul debito. Significa che ogni italiano ha circa 30mila euro di debito. Per percentuale tra debito e PIL ci discostiamo di oltre 50 punti percentuali dalla media europea. E oltre la metà dei titoli di stato che finanziano il nostro debito è in mano ad investitori stranieri.
Questa è la fotografia attuale. Pagare ogni anno 85 miliardi di euro per interessi è una enormità, basti pensare che questa manovra correttiva è stimato si aggiri sui 24 miliardi di euro netti. Se il nostro debito fosse del 60% rispetto al PIL ovvero la media europea, significherebbe spendere circa 40 miliardi in meno di interessi, significherebbe più semplicemente acquistare più elasticità di bilancio. Potrebbe essere fatta per fare solo un esempio una politica reale per la famiglia per non parlare dell’introduzione del “quoziente familiare”. Va aggiunto anche che, per nostra fortuna, il debito “privato” ovvero quello di imprese e famiglie è molto più basso di quello di molti altri paesi europei e occidentali. Così il debito aggregato ovvero la somma tra debito pubblico, debito di famiglie e debito delle imprese, ci vede in europea tra gli ultimi posti.
Però uno stato deve fare i conti con i propri conti e non con quelli aggregati dei suoi cittadini quando si tratta di mettere in pratica una manovra. E lo stato in questo caso è come un padre di famiglia. In un momento di difficoltà in cui diminuiscono le entrate, magari perché lavora meno il padre, in famiglia si decide di risparmiare, si fa a meno di tante cose, non è piacevole per nessuno in famiglia ma se il padre lo spiega responsabilmente, tutti lo capiranno. L’alternativa, tanto per restare nell’esempio familiare, sarebbe quello di cercare di lavorare di più ma in questo momento è dura, oppure fare debiti.
Una strada percorribile, anche se limitatamente visto il debito già alto, ma a pagarne le conseguenze sarebbero i figli. Sarebbe responsabile? Pur con le mille differenze, la logica in cui si muove un governo non è molto differente da quella di un padre di famiglia, anche alla luce dei tempi non certo facili che ci aspettano.
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Oltre una certa quota di reddito l’uomo diventa più infelice e allora siccome noi dobbiamo cercare la felicità, dobbiamo tenere conto di questi aspetti. (dal confronto televisivo con Berlusconi del 14 marzo 2006)
Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, parlando su Rai 3 nel programma “In mezz’ora” di Lucia Annunziata «La polemica anti tasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima. 7 ottobre 2007.
Un grande panfilo bianco ancorato in un mare scintillante e la scritta «Anche i ricchi piangano». È la campagna di affissioni e inserzioni sui giornali con cui Rifondazione comunista ribadisce le sue posizioni sulla Finanziaria 2007. 29 settembre 2006