Uffa, che caldo! Vado a prendere l’autobus in una città semisvuotata dalla fine delle scuole e sotto le scarpe sento il catrame del marciapiede che si è fatto molle. Mi guardo attorno e vedo che, come me, tutti boccheggiano nell’afa che incombe già dal primo mattino.
Se mi capita di mettermi in macchina, l’occhio va subito al display che segna la temperatura esterna: 36, 38 gradi e mi assale subito un senso di soffocamento, come se l’abitacolo fosse un forno pronto a cuocermi. Se poi si alza un refolo di vento, è così caldo che sembra provenire da un gigantesco asciugacapelli.
Per non parlare della notte; prendere sonno è diventata un’impresa: mi rigiro sudato a letto nell’attesa sudaticcia che il riposo arrivi a staccare i contatti con la calura esterna e coi rumori che da tutte le finestre aperte del vicinato irrompono dalla mia finestra spalancata.
È vero che c’è l’aria condizionata, ma a parte un certo fastidio che può dare, non è installata dappertutto; per esempio per strada non c’è. E poi continuare a entrare e uscire da luoghi condizionati non fa che aumentare il fastidio e l’insofferenza per la canicola.
Fin qui la descrizione del fenomeno. Il quale, tutto sommato, non è poi tanto strano. Che Milano a luglio sia afosa non è mica una novità. Forse – ho pensato – si è abbassata la mia soglia di sopportazione dei disagi. Un mattino di questi, sceso accaldatissimo dall’autobus, sono passato a fianco di un cantiere edile e ho visto operai che lavoravano sulle impalcature di un palazzo in costruzione e mi è tornato in mente mio padre che faceva il muratore e per il quale lavorare sotto il solleone era una condizione accettata senza tante lamentele. Forse la sto mettendo giù troppo dura con sta storia del caldo.
Forse, anche, partecipo di una mentalità che non sa più accettare che le cose intorno non rispondano al mio telecomando. Infatti qual è il peggior fastidio che la canicola estiva provoca? È che vengono meno le energie. Vorresti passar la sera a leggere un buon libro e invece ti sembra di avere il cervello che si scioglie e non riesce a trattenere niente. Vorresti fare un passeggiata e invece ti si blocca il fiato in gola al solo pensiero di uscire di casa sotto i raggi cocenti.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO
È come se il caldo prosciugasse dall’interno ogni slancio e vigore. Ti senti simile all’ortensia del giardino che, se ti dimentichi una sera di innaffiarla, subito abbassa le foglie, piega i rami, fa appassire i fiori. Ecco: il caldo di luglio è come un appassire, un prosciugamento. E allora capisci che le stesse tue energie più elementari, la stessa vitalità più semplice non sono un dato scontato, non sono un automatismo che funziona sempre, una macchinetta che una volta innescata va per conto suo.
Quello che invece funziona sempre è il desiderio. Non solo che il caldo passi al più presto e un bel temporale rinfreschi l’aria e illimpidisca il cielo. Ma che adesso, nel caldo, io non mi abbatta più del necessario, che il soffocamento non mi vinca, che ci sia – come canta il Veni Sancte Spiritus – anche in aestu (nella calura) una temperies (un refrigerio).