Con il duplice attentato nei bar di Kampala che ha portato alla morte quasi ottanta persone, ignari spettatori della finale dei mondiali di calcio, il buco nero della Somalia si è improvvisamente allargato. Uscito dai confini della ex colonia italiana, si è allungato fino all’Uganda e punta minacciosamente al Burundi.
Ugandesi e burundesi sono infatti la maggior parte dei soldati della Forza di pace africana che cerca di presidiare e difendere l’ombra delle istituzioni somale, un governo che esiste solo sulla carta e che vive asserragliato in un brandello di capitale, e che può crollare da un momento all’altro.
Il caos somalo è cresciuto anno dopo anno inesorabilmente. Dalla dittatura ai signori della guerra, dai signori della guerra alle missioni di pace internazionali (con i tanti morti italiani tra militari e giornalisti e la guerra tra “smilzi” e Delta Force narrata dal capolavoro di Ridley Scott “Black Hawk down”), dal fallimento delle missioni alla penetrazione delle milizie islamiche, nelle varianti delle cosiddette “Corti” e di Al Qaeda; e dall’avanzata islamista al tentativo di regionalizzare la crisi con l’arrivo dell’esercito etiope prima e delle forze dell’Unione Africana poi.
In tre decadi tutto quel che poteva peggiorare è peggiorato, mentre nulla è cambiato in meglio. Mogadiscio è una città fantasma popolata di poveri esseri umani e cattivissimi zombi. L’intera Somalia è al fuori di ogni controllo.
Oggi i terroristi-guerriglieri islamici sono in grado di attraversare due confini (tra Somalia e Uganda c’è il Kenya), contando su chissà quante complicità e colpire dove vogliono in un altro paese. Kampala si aggiunge così alla lunga lista delle città estranee ai territori di conflitto insanguinate dai kamikaze di Allah a partire dal 1998: Nairobi, Dar es Saalam, New York, Madrid, Londra, Mosca, Mumbai (in proposito al Meeting di Rimini verrà proiettato uno sconvolgente documentario sugli attacchi del dicembre 2008).
Al Qaeda e la composita compagine di milizie islamiste locali, ben armate in seguito ai traffici loschissimi in corso nel Golfo, puntano a dichiarare la repubblica islamica di Somalia, e in certe aree la sharia è già la legge vigente, e da lì avanzare nel Corno d’Africa. L’obbiettivo evidente è non la conquista, per ora, ma la destabilizzazione dell’Etiopia, popoloso e vasto Paese di solida e antica tradizione cristiana, ancora maggioritaria.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO
A quel punto il gioco sarà fatto e la regione africana non sarà dissimile da Iraq e Afpak (Afghanistan+Pakistan). Nessuno si può illudere: questo, come ben sanno nelle capitali occidentali, è uno scenario realistico.
Ma non potendo scatenare un’altra guerra islamica, almeno finché ne sono in corso altre due, e non credendo fino in fondo all’efficacia bellica delle forze UA pur addestrate da ufficiali europei, gli occidentali sanno altrettanto bene che l’unica seria azione di contrasto può arrivare proprio dall’Etiopia. Lo ha già fatto nel recente passato e dovrà continuare a farlo se vorrà mantenere la propria integrità.