Sono parecchie le fonti del diritto, italiano e internazionale, che sanciscono l’assoluta libertà per tutti i cittadini di pensare ed agire secondo le proprie convinzioni personali e la propria coscienza. Per qualcuno, tuttavia, questi obblighi si possono calpestare in nome dell’unica libertà e dell’unica opinione che deve essere valorizzata: la propria. Tutto questo accade in Puglia, una terra dove, da 5 anni, chi governa non fa che autoincensarsi per la propria (presunta) capacità di garantire ai cittadini un livello di libertà altissimo grazie all’invenzione di nuovi diritti. Peccato che in nome di questi nuovi diritti ci si dimentichi dei principi cardine della democrazia.

La Giunta regionale della Puglia con la delibera “Progetto di riorganizzazione della rete consultoriale”, n. 735 dello scorso marzo, prevede che le Aziende Sanitarie Locali (ASL) indichino delle selezioni per l’implementazione del personale dei consultori, escludendo però medici e ostetriche che abbiano, esercitando un diritto di legge, scelto l’obiezione di coscienza rispetto alle interruzioni volontarie di gravidanza.

I medici obiettori di coscienza hanno impugnato la delibera davanti al TAR, ma anche gli Ordini dei Medici pugliesi, i sindacati e il Forum delle Famiglie hanno avanzato parecchie perplessità sul provvedimento. La discriminazione è evidente tanto quanto il disegno politico che c’è dietro.

La delibera non solo viola lo spirito della legge 194/78 che regolamenta la possibilità di interruzione delle gravidanze e che si propone soprattutto di sostenere le donne a superare i problemi rivenienti da una gravidanza inattesa, mettendola preliminarmente in condizioni di non dover ricorrere all´estremo quanto terribile rimedio dell´aborto, ma viola anche l’articolo 3 della Costituzione italiana che sancisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge senza distinzione di religione, di opinione o di condizione personale.

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Ma non finisce qui. La delibera è in palese contrasto anche con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che costituisce uno dei capisaldi del Trattato di Lisbona, recentemente entrato in vigore. L’Unione europea, dopo l’entrata in vigore del Trattato, è diventata membro a pieno titolo degli strumenti internazionali di tutela dei diritti fondamentali ed è quindi chiamata a far rispettare la Carta dei diritti fondamentali ad ogni singolo stato membro.

Insieme ad alcuni miei colleghi ho presentato un’interrogazione scritta alla Commissione europea nella quale si chiede se essa non ritiene che il provvedimento della Regione Puglia costituisca violazione dell’articolo 9 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali sulla Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, e dell’articolo 10 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea sulla Libertà di pensiero, di coscienza e di religione che garantisce inoltre il diritto all’obiezione di coscienza.

E’ sconcertante quanto appena raccontato. Soprattutto per l’incredibile metodo utilizzato. Il metodo dell’ambiguità e della menzogna. Lo stravolgimento della realtà, in questo caso specifico, è arrivato all’apice. Nel motivare il provvedimento, la Giunta regionale pugliese, per bocca degli assessori Fiore e Gentile è riuscita addirittura a dire che c’è “la ferma volontà di garantire la piena applicazione della legge 194 e la tutela dei diritti delle donne”. Siamo tutti curiosi di sapere di quali diritti parlano.

E vogliamo anche comprendere se l’obiettivo di questa gente sia quello di evitare che le donne ricorrano all’interruzione di gravidanza oppure, al contrario, quello di rendere i consultori delle vere e proprie fabbriche di aborti. Vista la criminalizzazione e il conseguente tentativo di epurazione degli obiettori di coscienza non sembrano esserci dubbi.